giovedì 25 settembre 2014

Peace ep.3


Spingere una persona a suicidarsi è come giocare una partita a scacchi. Ci vuole una visione di respiro più ampio. Si deve stabilire un obiettivo a lungo termine, pianificare il modo migliore per ottenerlo.
Il gioco degli scacchi è la metafora del rapporto umano. Ci sei solo tu e il tuo avversario.
Una scacchiera che vi divide.
Il resto non conta.
Devi solo muovere i tuoi pezzi. I tuoi pezzi sono le tue opinioni, le sole che contano. Non devi dimenticarlo mai. Devi pensare in anticipo a cosa vuoi dire, a cosa vuoi fare. A come ti vuoi muovere. Nella scacchiera della vita.
Nel gioco degli scacchi ogni contendente cerca disperatamente di provare la propria esistenza all'altro. Torre in a8.
Non è una questione di superiorità. È una questione di legittimazione di se stessi.
Re in h8.
Ognuno inizia con la propria apertura. L'apertura è importante. Fondamentale. L'apertura è la fase in cui si sviluppano i propri pezzi, le proprie opinioni, appunto. Ognuno le colloca nella maniera in cui esse siano il più efficaci possibili. Ci si mette a nudo di fronte al proprio avversario.
Ho vinto.
A Carlo piacciono i pezzi bianchi. Lui usa solo quelli. Se qualcuno gli offre i neri diventa nervoso. Non mi piace vedere Carlo, nervoso. Non è un bello spettacolo.
Pedone in g7.
C'è qualcosa di strano in questa risoluzione.
Cavallo bianco in g5.
Qualcosa di familiare.
Regina in a3.
Carlo sorride. Gli tremano gli angoli della bocca. Mi sta prendendo in giro. Conosco quel sorriso. Carlo crede di poter ancora provare la sua esistenza nei miei confronti. Crede di poter schiacciare la mia. Perché? Ormai è chiaro. Ho vinto io. Carlo continua a sorridermi. Non mi stacca gli occhi di dosso. Ho vinto. Cosa ci trovi di tanto divertente?
Merda.
Regina bianca in c4.
È il Matto di Lucena.

Non posso provare la mia esistenza a Carlo. Lui ha appena attaccato il mio Re, la mia argomentazione portante. Mi ha fatto scacco.
E quando non puoi opporre difese ad argomentazioni come questa, allora è scacco matto. La comunicazione è impossibile.
Per Carlo è come se non esistessi.
Mi ha fregato.
«Allora» mi fa «vuoi la rivincita?».
Come un novellino.
«Dai» mi dice «mica te la devi prendere, eh. È stata una bella partita.»
Lo dice solo per consolarmi.
«Ma smettila» svuota la scacchiera, rimette i pezzi a posto, con cura «se può consolarti, era da tanto che non mi impegnavo così.»
Certo, come no.
«Dico sul serio.»
Lo so, gli dico io. Lo so. Ho voglia di uccidere qualcuno. Bevo un sorso d'acqua dalla borraccia. Mi scende fresca lungo la gola.
«Vedi» dice Carlo «il tuo problema è che prendi la cosa troppo sul serio. È solo un gioco, dai». Lo so, dico. So che non è questa la vera partita. Quella è ancora tutta da giocare.
«Bravo» mi fa «devi goderti la partita, capisci? Vedi io ero come te prima.» Carlo si alza in piedi. «Facciamo così, adesso ti svelo un segreto, va bene?» Mi si avvicina. Posa una mano sulla mia spalla. Va bene, dico. Parla.
«Okay, devi sapere che ogni mattina entro nel mio studio per controllare alcuni documenti e, puntualmente, trovo la scacchiera pronta sulla scrivania. Con i pezzi allineati. Non ho idea di come ci sia finita. Così, ho mosso un pedone» mi sorride «i bianchi muovono per primi, ecco.»
Interessante. Bevo un altro sorso dalla borraccia.
«Ecco, il mattino dopo, adesso non metterti a rider, ma il giorno dopo, dicevo, ho visto che qualcun altro aveva mosso uno dei pedoni neri.» Carlo tira fuori un pedone nero e l'appoggia sul tavolo. Davanti alla mia faccia. «
Mi prendi per il culo?»