
Il solito caffè
annacquato attendeva di essere bevuto sul piccolo piatto ancora
sporco dal giorno prima. Vera ci rovesciò dentro più zucchero di
quel che era solita versare, quel giorno era insolitamente inquieta.
Mentre si portava la tazza alla bocca, notò che la mano tremava,
tanto da far cadere alcune gocce di caffè sulla t-shirt e sulle
scarpe:
«Noo...» bisbigliò,
mentre afferrava prontamente un fazzoletto cercando di rimediare al
danno.
-Cominciamo bene la
giornata- pensò.
Diede un'occhiata
all'orologio, rapidamente si infilò il cappotto, chiavi e via per la
strada che l'avrebbe portata al quartier generale dove
quotidianamente si riuniva la squadra per discutere su quello che era
riuscita a scoprire sui vari omicidi che dilagavano in città.
La pioggia cadeva
incessante sul marciapiede, i nuvoloni scuri oscuravano completamente
il fioco sole di febbraio.
Il killer poteva essere
dietro l'angolo, mentre Vera accelerava il passo il pensiero che da
un momento all'altro sarebbe potuta passare da detective a vittima
del suo stesso caso imperava nella sua testa.
Accelerò, accelerò
ancora, stava per svoltare, ancora un altro passo e:
«Aaah!» gridò
«Stia più attenta!»
disse in tono seccato un uomo contro il quale Vera aveva urtato per
la troppa fretta, mentre si sistemava la giacca nera. Vera non prestò
molta attenzione alle parole dell'uomo, voltò il capo e proseguì
lungo la propria strada.
«Allora si può sapere
cosa volete?» sbraitò Alek sbattendo un pugno sul tavolo dietro il
quale si stendevano silenziosi Carlo, Giovanni ed il maresciallo
Fumagalli, con le mani dietro la schiena e gli occhi che fissavano
quelli di Alek senza battere ciglio.
In un angolo della
stanza, all'ombra dell'unica e debole luce di un neon bianco che
pendeva dal soffitto, si trovava Michele Ramino, seduto su una sedia
di legno, con le braccia conserte e lo sguardo perso nel vuoto.
Giovanni alzò gli occhi
verso l'orologio a muro che segnava le 9:30 di mattina:
«Vera non sembra
arrivare, sarà meglio cominciare... siediti Alek, facciamo due
chiacchiere.»
Alek avvicinò a sé una
sedia con un piede, e con aria scocciata si sedette davanti il
tavolo:
«Sigaretta?» domandò
il maresciallo Fumagalli mentre con due dita reggeva una cicca:
«Sì» si limitò a
pronunciare Alek, prendendo la sigaretta e portandosela alla bocca:
«Allora Alek dimmi un
po'...» riprese Giovanni mentre Fumagalli con un accendino accendeva
la cicca che gli aveva offerto: «Date le ultime circostanze, gli
ultimi eventi che si sono venuti a verificare, sono costretto a porti
qualche domanda: fai abitualmente uso di Cocenia?»
«COSA? Cosa andate
blaterando... e anche se fosse? Come potrebbe mai
interessarvi?»
«Rispondi alla domanda»
«Rispondi alla domanda»
«Sì, allora? Qual è il
problema?»
«Vedi Alek, in uno dei
vari omicidi, tempo fa, sono state trovate scatole di Cocenia
completamente vuote, siamo abbastanza certi che nella nostra squadra
ci sia una talpa, sai no? Quelle che vivono sottoterra e non vedono
mai la luce del sole...»
«E quella cosa sarei io?
Siete pazzi...»
«Fa' silenzio!» gridò
Giovanni «TU! Vieni qui!». Indicò Michele con un cenno del capo.
Come svegliatosi da un coma, Michele alzò gli occhi e, trascinando
la sedia su cui era seduto al fianco di Alek, pronunciò due
semplici lettere:
«No»
«No cosa?» disse
Giovanni stranito
«Non faccio uso di
Cocenia»
Gli occhi vuoti di
Michele guardavano le pupille di Giovanni con un'aria di sfida,
mentre la figura di Carlo, che si stendeva imperiosa dietro il
tavolo, non faceva trapelare nessuna emozione. Il suo volto era
immobile, si limitava ad osservare, come se stesse assistendo ad uno
spettacolo di teatro.
«Volete solo buttarci
fuori da questo caso, volete tutto il merito! Sì, già immagino il
futuro, le prime pagine dei giornali con titoli del calibro di “Due
detective tra gli eroi del nostro tempo”. Ma non avete capito che
non ne avete le capacità? E neanche io le ho, nessuno probabilmente
le ha. Abbiamo istituito questa squadra con il solo e unico scopo di
porre fine a questa psicosi, a questo virus che vaga per l'aria
dell'intera città.»
Il discorso di Alek non
faceva una piega, e Giovanni e Fumagalli lo sapevano meglio di
chiunque altro.
“Bum bum bum”
Qualcuno bussava alla
porta, che si aprì facendo entrare un filo di luce che scomparve
immediatamente.
La luce del neon
illuminava la figura di Vera, fradicia a causa della pioggia:
«Scusate il... cosa sta
succedendo qui?»
«Vieni Vera, siediti qui
con noi...» le propose Fumagalli, mentre cercava una sedia dove
poterla far accomodare.
Approfittando della
confusione dei presenti, Michele si palpò le tasche e, notando che
portava con sè un pacco di Cocenia dal quale non riusciva mai a
separarsi, lo gettò sotto il tavolo, con immenso dispiacere dato
solo dal fatto di essersi distaccato dalla sua ragione di vita.
«Cosa c'è?» domandò
Vera
«Vieni qui ho detto!»
disse Giovanni alzando il tono di voce che sembrava intepretare il
ruolo di poliziotto cattivo
«Ti conviene ubbidire»
ribadì Fumagalli, quello “buono”
Vera ubbidì, recandosi
innanzi al tavolo:
«C'è qualcosa che non
va?»
«Perché questo
ritardo?» controbatté Giovanni
«Pioggia»
«...»
«Non vorrete mica
riprendermi per un ritardo?»
«Non è questo il
problema»
«E qual è allora?»
«Fai uso di Cocenia?»
«CoCHE?»
«Non fare la finta
tonta»
«No e non ho idea di che
cosa si tratti»
«Io me ne vado... che
cosa ridicola»
Alek si incamminò verso
la porta, allungò la mano sulla maniglia:
«Tu non vai da nessuna
parte!»
Alek si sentì tirare la
spalla, si voltò e cadde al suolo dopo un gancio di Giovanni dritto
nello stomaco. La vista si appannò, il suo sguardo rivolto contro il
tavolo, con le mani sul pavimento mentre cercava di rialzarsi:
«CHE CAZZO FAI?» gridò
Vera
Alek si alzò di scatto,
si recò verso il tavolo, lo spostò violentemente e lo sguardo di
ognuno dei presenti si illuminò:
«Cos'è quello?»
«É...»
«...Una scatola di
Cocenia...»
«Ma si può sapere cos'è
sta roba?»
L'intera squadra
circondava quell'unica scatola, un'infima e apparentemente inutile
scatola che come una calamita sembrava attirare ogni uomo:
«Lo sapevo... lo
sapevo... lo sapevo!» disse Alek «É vostra!» non sapeva bene a
chi si stava rivolgendo.
Alek con gli occhi che
gli uscivano fuori dalle orbite fissava la scatola, Giovanni e
Fumagalli cominciavano a dubitare gli uni degli altri, Vera con aria
stranita incrociava gli sguardi di ogni (oramai) ex-compagno e
Michele, seduto, sulla sedia di legno che scricchiolava sotto il suo
peso, accennava un misero sorriso sul volto:
«Mh...»
La vista della confezione
di pillole colpì persino Carlo, sul cui volto era apparsa
un'espressione mista a stupore e preoccupazione.