venerdì 1 aprile 2016

Peace ep. 10






Il solito caffè annacquato attendeva di essere bevuto sul piccolo piatto ancora sporco dal giorno prima. Vera ci rovesciò dentro più zucchero di quel che era solita versare, quel giorno era insolitamente inquieta. Mentre si portava la tazza alla bocca, notò che la mano tremava, tanto da far cadere alcune gocce di caffè sulla t-shirt e sulle scarpe:
«Noo...» bisbigliò, mentre afferrava prontamente un fazzoletto cercando di rimediare al danno.
-Cominciamo bene la giornata- pensò.
Diede un'occhiata all'orologio, rapidamente si infilò il cappotto, chiavi e via per la strada che l'avrebbe portata al quartier generale dove quotidianamente si riuniva la squadra per discutere su quello che era riuscita a scoprire sui vari omicidi che dilagavano in città.
La pioggia cadeva incessante sul marciapiede, i nuvoloni scuri oscuravano completamente il fioco sole di febbraio.
Il killer poteva essere dietro l'angolo, mentre Vera accelerava il passo il pensiero che da un momento all'altro sarebbe potuta passare da detective a vittima del suo stesso caso imperava nella sua testa.
Accelerò, accelerò ancora, stava per svoltare, ancora un altro passo e:
«Aaah!» gridò
«Stia più attenta!» disse in tono seccato un uomo contro il quale Vera aveva urtato per la troppa fretta, mentre si sistemava la giacca nera. Vera non prestò molta attenzione alle parole dell'uomo, voltò il capo e proseguì lungo la propria strada.

«Allora si può sapere cosa volete?» sbraitò Alek sbattendo un pugno sul tavolo dietro il quale si stendevano silenziosi Carlo, Giovanni ed il maresciallo Fumagalli, con le mani dietro la schiena e gli occhi che fissavano quelli di Alek senza battere ciglio.
In un angolo della stanza, all'ombra dell'unica e debole luce di un neon bianco che pendeva dal soffitto, si trovava Michele Ramino, seduto su una sedia di legno, con le braccia conserte e lo sguardo perso nel vuoto.
Giovanni alzò gli occhi verso l'orologio a muro che segnava le 9:30 di mattina:
«Vera non sembra arrivare, sarà meglio cominciare... siediti Alek, facciamo due chiacchiere.»
Alek avvicinò a sé una sedia con un piede, e con aria scocciata si sedette davanti il tavolo:
«Sigaretta?» domandò il maresciallo Fumagalli mentre con due dita reggeva una cicca:
«Sì» si limitò a pronunciare Alek, prendendo la sigaretta e portandosela alla bocca:
«Allora Alek dimmi un po'...» riprese Giovanni mentre Fumagalli con un accendino accendeva la cicca che gli aveva offerto: «Date le ultime circostanze, gli ultimi eventi che si sono venuti a verificare, sono costretto a porti qualche domanda: fai abitualmente uso di Cocenia?»
«COSA? Cosa andate blaterando... e anche se fosse? Come potrebbe mai interessarvi?»
«Rispondi alla domanda»
«Sì, allora? Qual è il problema?»
«Vedi Alek, in uno dei vari omicidi, tempo fa, sono state trovate scatole di Cocenia completamente vuote, siamo abbastanza certi che nella nostra squadra ci sia una talpa, sai no? Quelle che vivono sottoterra e non vedono mai la luce del sole...»
«E quella cosa sarei io? Siete pazzi...»
«Fa' silenzio!» gridò Giovanni «TU! Vieni qui!». Indicò Michele con un cenno del capo. Come svegliatosi da un coma, Michele alzò gli occhi e, trascinando la sedia su cui era seduto al fianco di Alek, pronunciò due semplici lettere:
«No»
«No cosa?» disse Giovanni stranito
«Non faccio uso di Cocenia»
Gli occhi vuoti di Michele guardavano le pupille di Giovanni con un'aria di sfida, mentre la figura di Carlo, che si stendeva imperiosa dietro il tavolo, non faceva trapelare nessuna emozione. Il suo volto era immobile, si limitava ad osservare, come se stesse assistendo ad uno spettacolo di teatro.
«Volete solo buttarci fuori da questo caso, volete tutto il merito! Sì, già immagino il futuro, le prime pagine dei giornali con titoli del calibro di “Due detective tra gli eroi del nostro tempo”. Ma non avete capito che non ne avete le capacità? E neanche io le ho, nessuno probabilmente le ha. Abbiamo istituito questa squadra con il solo e unico scopo di porre fine a questa psicosi, a questo virus che vaga per l'aria dell'intera città.»
Il discorso di Alek non faceva una piega, e Giovanni e Fumagalli lo sapevano meglio di chiunque altro.
“Bum bum bum”
Qualcuno bussava alla porta, che si aprì facendo entrare un filo di luce che scomparve immediatamente.
La luce del neon illuminava la figura di Vera, fradicia a causa della pioggia:
«Scusate il... cosa sta succedendo qui?»
«Vieni Vera, siediti qui con noi...» le propose Fumagalli, mentre cercava una sedia dove poterla far accomodare.
Approfittando della confusione dei presenti, Michele si palpò le tasche e, notando che portava con sè un pacco di Cocenia dal quale non riusciva mai a separarsi, lo gettò sotto il tavolo, con immenso dispiacere dato solo dal fatto di essersi distaccato dalla sua ragione di vita.
«Cosa c'è?» domandò Vera
«Vieni qui ho detto!» disse Giovanni alzando il tono di voce che sembrava intepretare il ruolo di poliziotto cattivo
«Ti conviene ubbidire» ribadì Fumagalli, quello “buono”
Vera ubbidì, recandosi innanzi al tavolo:
«C'è qualcosa che non va?»
«Perché questo ritardo?» controbatté Giovanni
«Pioggia»
«...»
«Non vorrete mica riprendermi per un ritardo?»
«Non è questo il problema»
«E qual è allora?»
«Fai uso di Cocenia?»
«CoCHE?»
«Non fare la finta tonta»
«No e non ho idea di che cosa si tratti»
«Io me ne vado... che cosa ridicola»
Alek si incamminò verso la porta, allungò la mano sulla maniglia:
«Tu non vai da nessuna parte!»
Alek si sentì tirare la spalla, si voltò e cadde al suolo dopo un gancio di Giovanni dritto nello stomaco. La vista si appannò, il suo sguardo rivolto contro il tavolo, con le mani sul pavimento mentre cercava di rialzarsi:
«CHE CAZZO FAI?» gridò Vera
Alek si alzò di scatto, si recò verso il tavolo, lo spostò violentemente e lo sguardo di ognuno dei presenti si illuminò:
«Cos'è quello?»
«É...»
«...Una scatola di Cocenia...»
«Ma si può sapere cos'è sta roba?»
L'intera squadra circondava quell'unica scatola, un'infima e apparentemente inutile scatola che come una calamita sembrava attirare ogni uomo:
«Lo sapevo... lo sapevo... lo sapevo!» disse Alek «É vostra!» non sapeva bene a chi si stava rivolgendo.
Alek con gli occhi che gli uscivano fuori dalle orbite fissava la scatola, Giovanni e Fumagalli cominciavano a dubitare gli uni degli altri, Vera con aria stranita incrociava gli sguardi di ogni (oramai) ex-compagno e Michele, seduto, sulla sedia di legno che scricchiolava sotto il suo peso, accennava un misero sorriso sul volto:
«Mh...»
La vista della confezione di pillole colpì persino Carlo, sul cui volto era apparsa un'espressione mista a stupore e preoccupazione.