domenica 29 settembre 2013

Non ci sono momenti.


Non ci sono momenti.
Nessun istante.
la nostra vita l'abbiamo vissuta nonostante tutto
e ci troviamo come vecchi stanchi della vita
intrappolati dalla nostra età
incatenati a radici mortali ed infantili
a passioni e sporadiche voglie.
Non ci sono momenti.
Ci sono solo due menti in uno spazio bianco.
infinito.
e la loro connessione.
Siamo ricordi.
Ricordi indefiniti.
mai vissuti.
mai compresi.
Siamo i pianti mai compresi.
I fiati trattenuti di fronte a tesi silenzi.
le ore perdute a farci male
i secondi spesi ad amarsi.
Non siamo niente.
Nemmeno quei momenti.
Siamo sepolti.
I graffi e le strette al collo.
il sangue che si mischia a sibili animaleschi ed incompresi.
la verità tagliente che fagocita ogni possibile redenzione.
Una malata sensazione di disagio che striscia sotto la pelle e divora la lucidità.
La neve d'inverno che traccia ghirigori gelidi che pugnalano l'anima.
Una giornata senza aria di dicembre dove stringere patti di reciproco soccorso con la follia.
Non siamo niente.
e torneremo a non esistere.

VERSIONE RECITATA
http://vocaroo.com/i/s16Fd863kvSB da Elios

venerdì 27 settembre 2013

Maledetto specchio.

Il vuoto, non è vero? Che cosa esiste in questo vuoto apparente? Questo terrore confuso del
soprannaturale che ha assillato l’uomo dalla nascita del mondo è legittimo perché il soprannaturale
non è altro da quello che ci resta sconosciuto (non rivelato)! Allora ho capito il terrore.
Mi è sembrato di arrivare costantemente a scoprire un segreto dell’universo. Ho tentato di affinare i
miei organi, di eccitarli, per far loro percepire, in certi momenti, l’invisibile. Mi sono detto, “tutto è
un essere”. Il grido che passa nell’aria, è un essere simile alla bestie poiché esso nasce, produce un
movimento e si trasforma ancora per morire. Così la mente timorosa che crede in essere incorporei
non sbaglia. Chi sono? Quanti uomini li avvertono, fremono in loro presenza, tremano al loro
impercettibile contatto. Li sentiamo vicino ed intorno a noi, ma non possiamo distinguerli perché
non abbiamo gli occhi per vederli o piuttosto l’organo sconosciuto che potrebbe scoprirli.
Allora, più di chiunque altro, io le sentivo queste presenze soprannaturali. Esseri o misteri? Come
posso saperlo? Non posso dire che cosa sono, ma sempre segnalare la loro presenza. Ho visto – ho
visto un essere invisibile – nella misura in cui si possono vedere questi esseri? Sono rimasto
immobile per intere notti, seduto davanti al mio tavolo, con la testa fra le mani, pensando a questo,
pensando a loro. Spesso ho creduto che una mano intangibile, o piuttosto un corpo inafferrabile
stava sfiorando i miei capelli. Non mi ha toccato perché non era un’essenza carnale, ma un’essenza
imponderabile e sconosciuta. Una sera ho sentito scricchiolare il parquet dietro di me. Ha
scricchiolato in modo particolare. Ho tremato. Mi sono girato. Non ho visto niente. Non ci ho più
pensato.
Ma il giorno dopo, alla stessa ora, si è verificato lo stesso rumore. Ero così spaventato che mi sono
alzato, sicuro, sicuro, sicuro che non ero da solo nella mia stanza. Non ho visto niente. L’aria era
limpida, trasparente ovunque. Le mie due lampade illuminavano ogni angolo della stanza. Il rumore
non riprese e mi calmai un po’ per volta; tuttavia rimasi piuttosto inquieto e mi guardai spesso
intorno. Il giorno dopo mi risvegliai di buon ora, cercando di capire come sarei riuscito a vedere
l’invisibile che mi visitava. E l’ho visto. Per poco non sono morto di terrore. Avevo acceso tutte le
candele sulla mensola del camino e i candelieri. La stanza era illuminata a festa. Le mie due
lampade bruciavano sul tavolo. Di fronte a me, il mio letto, un vecchio letto a colonne in legno di
quercia. A destra il mio caminetto. A sinistra, la mia porta, che avevo chiuso col catenaccio. Dietro
di me un grande armadio con specchio. Mi sono guardato in esso. Avevo occhi assenti e pupille
dilatate. Allora mi sono seduto come tutti i giorni. Il rumore si era presentato la sera prima e la sera
prima delle 21,22. Aspettavo. Quando il momento preciso è arrivato , ho percepito una sensazione
indescrivibile, come se un liquido, un liquido irresistibile mi fosse penetrato in tutti i pori,
sommergendo la mia anima con un terrore atroce. E lo scricchiolio divenne forte, dritto verso di me.
Mi alzai e mi girai così rapidamente che quasi caddi. Vedevo ogni cosa come in pieno giorno e non
mi vedevo nello specchio. Era vuoto, libero pieno di luce., Non ero dentro di lui, nonostante gli
fossi davanti. Lo fissavo con sguardo atterrito. Non ho osato avvicinarmi ad esso perché sentivo che
era fra noi, lui, l’invisibile, e che mi nascondeva.
E’ stato terribile. Ed ecco che ho cominciato a percepirmi in una foschia in fondo allo specchio, in
una foschia come attraverso uno specchio d’acqua e mi sembrava che questa acqua scivolasse
lentamente da sinistra a destra rendendo a ogni secondo la mia immagine più precisa. Era come la
fine di un’eclissi. Quello che mi nascondeva non aveva contorni, ma una sorta di trasparenza opaca
che a poco a poco si schiariva. Alla fine ho potuto vedermi chiaramente, come faccio tutti i giorni
quando guardo me stesso. L’avevo dunque visto. E non lo ho più rivisto.

domenica 1 settembre 2013

Addio.

-Devo andare.
-E’ ancora buio.
-Mi chiamano.
-Non sento nessuno.
-Urlano il mio nome, al di là della valle. Vogliono che io torni. E anche se non lo chiamano più, lo chiamarono già tanto prima, che ancora risuona.
-Lasciali chiamare.
-Non posso deludere la loro attesa.
-Tutte le attese sono di per sé deluse.
-Mai giunse chi ti aspettavi?
-Mai.
-E quando mi vedesti, sulla collina, camminare fra i fiori, verso di te (c’era tutta quella luce), non mi aspettavi, forse? E non fui all’altezza della tua attesa?
-Non eri quello che mi aspettavo.
-E cosa aspettavi?
-La felicità.
-E cos’hai trovato?
-Dolore.
-E’ ora che io vada.
-Rimani.
-Non hai già sparso abbastanza sangue per mia causa? Con me giunse il dolore. Con me partirà.
-Non è così semplice.
-Spiegamelo.
-Io amo questo dolore.
-Oh cristo, ci sono così tante malattie mentali riconducibili a questa frase, che non so neanche quale nominare per prima.
-No. Io non amo la morte. Non amo il dolore. Io amo te. Questo amore è dolore. E io amo questo dolore. E’ vita. E’ la caviglia che scricchiola sul sentiero di montagna. E’ il sudore che inzuppava i vestiti di Michelangelo, sdraiato a dipingere la Creazione sulla volta della Cappella Sistina. Il mio dolore sono le macchie di vernice sulla tuta di lavoro di mio padre quando ci abbracciava, tornato a casa. E’ dolore e tormento e dolcezza e armonia. E’ il dolore che chiamano felicità.
-Dicesti che non conoscesti felicità con me.
-Non conobbi la Felicità. Abbiamo tutti in testa un’idea di Felicità come perfezione, appagamento supremo di tutti i nostri desideri. Non è la felicità di cui parlo io.  Quella che conosco non è così pura: è sporca, e maltrattata, e mortale, ma, ah!, per quegli attimi di beatitudine darei ogni centimetro della mia carne.
-Siamo stati felici, insieme.
-No. Non esiste felicità passata. Esiste solo l’amare, e l’essere, non l’aver amato, non l’essere stato.
-E sei felice, ora, qui, con me?
-In mezzo a oceani di dolore, bufere di dubbio, desiderio di morte, io sono sempre felice, con te.
-Mi dimenticherai?
-Si può dimenticare la felicità?
-Sì.
-Sì. Ma lascerà tracce di speranza. E quelle non andranno via.
-Mi ricorderai, dunque.
-Il mio cuore ti ricorderà.
-Devo andare.
-Tornerai.
-Non lo so.
-Si torna sempre a casa.
-Forse solo per morire.
-E morirai.
-Sarà una morte dolce, se sarò a casa.
-Può la morte essere dolce, davvero?
-Può esserlo la vita?
-Tu mi hai insegnato a sperare. Saprò continuare.
-Speranza e attesa vengono sempre deluse.
-Ma non per questo valgono meno. Tu lo dicesti. E io ricorderò.
-Tornerò, mio sole.

-Tornerai, mia luna.