domenica 1 settembre 2013

Addio.

-Devo andare.
-E’ ancora buio.
-Mi chiamano.
-Non sento nessuno.
-Urlano il mio nome, al di là della valle. Vogliono che io torni. E anche se non lo chiamano più, lo chiamarono già tanto prima, che ancora risuona.
-Lasciali chiamare.
-Non posso deludere la loro attesa.
-Tutte le attese sono di per sé deluse.
-Mai giunse chi ti aspettavi?
-Mai.
-E quando mi vedesti, sulla collina, camminare fra i fiori, verso di te (c’era tutta quella luce), non mi aspettavi, forse? E non fui all’altezza della tua attesa?
-Non eri quello che mi aspettavo.
-E cosa aspettavi?
-La felicità.
-E cos’hai trovato?
-Dolore.
-E’ ora che io vada.
-Rimani.
-Non hai già sparso abbastanza sangue per mia causa? Con me giunse il dolore. Con me partirà.
-Non è così semplice.
-Spiegamelo.
-Io amo questo dolore.
-Oh cristo, ci sono così tante malattie mentali riconducibili a questa frase, che non so neanche quale nominare per prima.
-No. Io non amo la morte. Non amo il dolore. Io amo te. Questo amore è dolore. E io amo questo dolore. E’ vita. E’ la caviglia che scricchiola sul sentiero di montagna. E’ il sudore che inzuppava i vestiti di Michelangelo, sdraiato a dipingere la Creazione sulla volta della Cappella Sistina. Il mio dolore sono le macchie di vernice sulla tuta di lavoro di mio padre quando ci abbracciava, tornato a casa. E’ dolore e tormento e dolcezza e armonia. E’ il dolore che chiamano felicità.
-Dicesti che non conoscesti felicità con me.
-Non conobbi la Felicità. Abbiamo tutti in testa un’idea di Felicità come perfezione, appagamento supremo di tutti i nostri desideri. Non è la felicità di cui parlo io.  Quella che conosco non è così pura: è sporca, e maltrattata, e mortale, ma, ah!, per quegli attimi di beatitudine darei ogni centimetro della mia carne.
-Siamo stati felici, insieme.
-No. Non esiste felicità passata. Esiste solo l’amare, e l’essere, non l’aver amato, non l’essere stato.
-E sei felice, ora, qui, con me?
-In mezzo a oceani di dolore, bufere di dubbio, desiderio di morte, io sono sempre felice, con te.
-Mi dimenticherai?
-Si può dimenticare la felicità?
-Sì.
-Sì. Ma lascerà tracce di speranza. E quelle non andranno via.
-Mi ricorderai, dunque.
-Il mio cuore ti ricorderà.
-Devo andare.
-Tornerai.
-Non lo so.
-Si torna sempre a casa.
-Forse solo per morire.
-E morirai.
-Sarà una morte dolce, se sarò a casa.
-Può la morte essere dolce, davvero?
-Può esserlo la vita?
-Tu mi hai insegnato a sperare. Saprò continuare.
-Speranza e attesa vengono sempre deluse.
-Ma non per questo valgono meno. Tu lo dicesti. E io ricorderò.
-Tornerò, mio sole.

-Tornerai, mia luna.

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