giovedì 4 agosto 2016

Peace ep. 11

Sergio è in collera con me.
Lo sento.
Ho sbagliato tutto.
Avevo un compito da svolgere e ho fallito.
Mi guarda.
Coi suoi occhi bicolori mi osserva.
E mi giudica.
"Quindi sono scappati"
"Si signore."
"L'intera squadra ha reagito come se si aspettasse che tu arrivassi ed è fuggita giusto?"
SI.
"E tu non hai idea di come sia potuto succedere, sbaglio?"
"Ho sottovalutato i miei avversari, sono saliti in macchina e prima che potessi prenderne una per inseguirli erano troppo lontani."
Mi osserva.
Mi giudica.
Perdente.
Sono un perdente.
Mi gira la testa.
"Va bene"
"Ora puoi andare, ti darò le disposizioni per il tuo prossimo incarico"
Posso andare, per adesso sono salvo.
Mi gira la testa.


Povero Ale. 
Era terrorizato, e ne aveva motivo. Doveva uccidere un civile, un giochetto da ragazzi per un essere con le sue capacità.
Sta prendendo troppe pillole, non è stabile.
Eppure il piano è andato esattamente come avevo previsto.
Dovevo saggiare le difese della squadra, e sono fragili, molto più di quanto loro stessi vogliano far credere.
Quel Giovanni è stato fortunato, ma non ha idea delle persone con cui si è messo ad indagare, povero piccolo stupido umano.
Sergio prese una bottiglia di Vodka che Ale aveva lasciato sul tavolo.
Ora spetta a loro la prossima mossa, capire come agire, come trovare l'assassino.
Stupidi.
Non lo troveranno mai, quando le persone cercano qualcosa di anormale, di indefinito, folle, tralasciano i particolari più ovvi.
Un'espressione del viso, un modo di guardare, ogni persona nasconde un mostro dentro.
Alcuni un simbolo, un potere, invisibile per loro, ma quando si paleserà davanti ai loro occhi, sarà troppo tardi.
Se solo sapessero come stanno realmente le cose.
"Le parole sono la forza, il simbolo è la mia croce" disse.
"Alla salute".


"Che giornata stressante, chi lo dice che Torino sia una città fredda? Oggi si moriva dal caldo, e poi il traffico.

Torino sta diventando insostenibile!"
Ramon Salazar, impiegato di trentacinque anni, stava tornando a casa in una serata stranamente calda, nonostante lavorasse in un modesto ufficio come segretario, prese il suo ascensore privato che lo portò in un attico.
Le splendide vetrate dell'attico illuminavano di fioca luce rossastra i mobili dando l'impressione ti trovarsi su di un altro pianeta.
Una doccia era quello che ci voleva per togliersi di dosso quella giornata insignificante.
Il bagno era come ogni cosa in quell'appartamento, esagerato, rubinetti d'oro e la vasca in marmo giganteggiavano dando al tutto un'aspetto ridicolmente esagerato.
Ma quando apri' l'acqua della vasca, raggelò.
Sangue.
Un liquido scuro, denso, usciva a fiotti dal rubinetto.
"Ma che cazzo!"
Ramon si girò e vide che anche gli altri rubinetti si erano aperti volontariamente facendo uscire quella poltiglia vermiglia.
"No-non è possibile"
"Lo è eccome Ramon"
Una voce
Una voce nella mia testa.
Ramon scappò in salotto e lo vide.
Una figura scura, che guardava fuori dalla finestra.
" Ti sei sistemato proprio bene Mr. Salazar, non male questo posto con lo stipendio che ti ritrovi,ci arrivi a fine mese?"
"Perchè sei qui?"
"Perchè sono qui...lo sai"
" Non ti abbiamo fatto nulla, Sergio..la colpa è di Sergio!"
" La colpa, la colpa va divisa con tutti, e Sergio avrà la sua parte in tutto questo quando finirà"
Ramon provò a saltargli addosso, ma la sua figura svani' come se non fosse mai esistita.
Poi fu tutto nero.

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