Le apparenze possono ingannare
lunedì 26 settembre 2016
mercoledì 14 settembre 2016
Peace ep.12
Quando
riaprii gli occhi, il peso dei pensieri che mi schiacciava sulla
poltrona di pelle nera rendeva l'ambiente che mi circondava distorto,
come se non lo riconoscessi a prima vista, e mi fossi destato in un
luogo ignoto alla mia memoria. Lo sguardo annebbiato mi accompagnava
mentre cercavo di mettere a fuoco ogni singolo oggetto nella camera
in cui ero capitato: “Devo aver preso troppe di quelle maledette
pillole, lo sapevo, devo smettere, oggi smetto... sì, devo smettere”
pensai, mentre mi divincolavo con forza dalle braccia della mia
mamma, che mi stringeva in grembo donandomi il suo calore e la sua
protezione. Frastornato, mi alzai sforzandomi e, andando a sbattere
contro il tavolino al centro della stanza, realizzai finalmente di
trovarmi nella solita sporca stanza della solita casa della solita
via della solita lugubre città. Una sensazione di rabbia mista a
un'enorme senso di malinconia mi trascinò sempre più a fondo nelle
sabbie mobili che mi stavano inghiottendo, ormai, da tutta la vita.
Sentii un'altra pastiglia che scendeva nella mia gola, e un'altra, e
un'altra ancora, ed ecco che il vetro attraverso il quale guardavo
l'intera realtà andò in frantumi. Un'orribile immagine prese forma
nella mia mente. Lasciai cadere il pacco di pillole che stringevo
nella mano destra sul pavimento e mi precipitai verso il bagno: ed
eccola lì.
Il corpo di
mia sorella Maria che sguazzava in un'enorme pozza di sangue si
stagliava davanti ai miei occhi. Un imponente senso di debolezza si
appropriò del mio corpo e quasi caddi svenuto al fianco di quel
cadavere, la cui vista mi trasmetteva un sentimento di infinita
incoscienza, di colpevolezza, misto ad un immenso sconforto al quale
fu accompagnato il lento scendere di una lacrima sulla guancia
sinistra del mio volto.
Mi chinai
sulla figura distesa sul pavimento di marmo: gli occhi erano ancora
spalancati e la bocca leggermente aperta. Le carezzai la guancia
pallida, mentre le mie scarpe, immerse nel sangue, si macchiavano di
quel liquido rosso che aveva ormai inondato l'intero pavimento.
All'improvviso
un fragoroso rumore rimbombò nella mia testa: BUM BUM BUM... BUM BUM
BUM... qualcuno stava bussando alla porta. Mille pensieri mi
passarono per la mente in quei pochi secondi: “Chi è adesso? Chi
chi chi? E ora? Che faccio? Potrei far finta di non essere in
casa...” BUM BUM BUM... “Lasciatemi in pace!” avrei voluto
urlare “Che volete da me!”.
BUM BUM
BUM... mi slacciai le scarpe pregne di sangue e le posai in un angolo
della stanza, uscii, chiusi la porta a chiave che nascosi nella tasca
e corsi ad aprire:
«CHI É?»
gridai, quando ero ancora nel corridoio che portava alla camera di
ingresso
«Sono
Giovanni!» rispose una voce al di là della porta, che continuava a
tremare incessantemente a causa dei colpi che il visitatore assestava
sul legno ormai decrepito.
A quelle
parole trasalii. Mi ghiacciai in mezzo alla lunga stanza per qualche
secondo. Un brivido corse lungo la spina dorsale, e la vista si
annebbiò per qualche secondo:
«A.. a...
arr-ivo» balbettai, con il fiato in gola. In quel momento la mia
mente fu invasa da un pensiero che mi fece accasciare alla parete
ingiallita del corridoio. Le scatole di Cocenia! Non potevo lasciarle
dov'erano. Mi fiondai verso la cucina, raccolsi tutti i pacchi di
quelle pillole che mi stavano prosciugando, e li gettai nella
spazzatura. Mi recai ad aprire la porta, pregando che nessuna prova
della mia colpevolezza fosse sfuggita alla mia rapida analisi.
BUM BUM BUM
Levai il
chiavistello, mentre la porta continuava a vibrare incessante, e la
figura di Sergio si stagliò impetuosa di fronte alla mia:
«Michele!»
mi salutò Giovanni appena aprii la porta
«Cosa c'è?»
risposi freddamente
«Tutto
bene? Sei pallido!»
«Non sto
molto bene...»
«Ascoltami,
mi trovavo a passar di qua e ho deciso di fare un salto per
avvertirti che tua sorella è da un po' che non si fa sentire...
stanotte non è nemmeno tornata a casa. Ma non mi fai entrare?»
disse stizzito Giovanni, mentre mi tiravo indietro lasciandogli lo
spazio per entrare:
«Allora, tu
ne sai qualcosa?»
«Nulla»
«E non ti
preoccupi nemmeno un po'?»
«É mia
sorella, so com'è fatta. É grande ormai, sa cavarsela da sola»
“Lo sa!...
Non dirò nulla! Non mi estorcerà una parola di troppo...”.
Pensai, mentre guardavo i suoi occhi scuri, che mi divoravano al loro
interno e mi lasciavano cadere in una sorta di abisso composto da
tutte le mie più nascoste ossessioni e paure.
«Posso
offrirti un caffè?» mi rivolsi a Giovanni con un'aria insolitamente
generosa
«No, sto a
posto così... piuttosto, potrei usare un attimo il bagno?»
Seguì il
silenzio per qualche secondo.
«Ehm...
n-no» balbettai «alcune tubature si sono guastate proprio ieri ed è
chiuso fino a che non arriverà qualcuno a ripararlo» accennai,
gesticolando qua e là con le mani, preso dall'agitazione.
Giovanni
strizzò gli occhi. Il suo volto si imbronciò ed il suo tono di voce
cambiò improvvisamente:
«Un
bicchiere d'acqua me lo offri almeno?»
«Certo!»
Entrambi
camminammo lentamente verso la cucina. I passi risuonavano nel
corridoio, mentre una flebile voce proveniva dal televisore che era
ancora acceso dalla notte precedente. Arrivati in cucina, non si
poteva fare a meno di notare il disordine imperante nell'ambiente.
Una grande pila di pentole, piatti e posate si trovava nel lavabo,
pronta per essere lavata. Residui di cibo e briciole di chissà cosa
invadevano i mobili ed i fornelli:
«Scusa il
disastro, non ho quasi mai ospiti...» dissi, cercando di distrarre
Giovanni, che stava osservando minuziosamente ogni angolo della
stanza. Non rispose.
Aprii la
credenza, agguantai un bicchiere ed in fretta mi recai verso il
lavandino: “Presto, vai via! Vattene... fuori dai piedi!”.
«Perdonami,
ho finito l'acqua in bottiglia...» cercai di scusarmi, dopo aver
riempito il bicchiere.
«Non
preoccuparti» rispose Giovanni insolitamente tranquillo, ed in un
sol sorso trangugiò l'intero contenuto del bicchiere.
«Mentre
bevevo, mi era venuta in mente una cosa che dovevo dirti...» si
pronunciò all'improvviso Giovanni... tutto tacque per qualche
istante, fino a che non continuò, dopo aver sospirato profondamente:
«Peccato che me lo sia dimenticato, sarà la prossima volta. É ora
che vada.».
A quelle
parole mi sentii enormemente più leggero, quell'incubo stava
finalmente per finire. Dopo che Giovanni ebbe posato il bicchiere, lo
accompagnai velocemente alla porta d'ingresso, quasi spingendolo per
la troppa foga, aspetto al quale anch'egli fece caso ed infatti si
pronunciò in un piccola smorfia di fastidio, appena arrivati
sull'uscio.
«Ciao
Michele, scommetto che ci rivedremo presto...»
«Ciao!»
risposi, quasi sbattendo la porta, ma cercando di mantenere il più
possibile il controllo delle mie azioni.
Mi sedetti
sulla poltrona nera su cui ero solito passare le mie giornate, con la
TV davanti a me che emetteva suoni a cui nemmeno prestavo attenzione,
a causa delle ansie di cui mi facevo carico: “Lo sa! Lo sai
sicuramente!” pensai “Glielo si leggeva negli occhi... e poi,
perché avrebbe dovuto dire «scommetto che ci rivedremo presto»...
sa già tutto!”. Estrassi dalla tasca gli ultime pillole che mi
erano rimaste e le ingoiai in un sol colpo. Mi alzai di scatto,
dirigendomi verso la cucina per controllare che per terra non ci
fosse nulla che avrebbe potuto incastrarmi. Osservai con cura ogni
mattonella, ogni angolo buio, ogni mobile. Nulla.
Tranquillizzato
e stanco, tornai nel salone, passando per il corridoio ed eccolo lì.
I miei occhi si posarono su qualcosa che mi fece rabbrividire...: un
cerchio, due righe ed un numero erano disegnate, rosso sangue, sulla
parete del corridoio.
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