giovedì 1 ottobre 2015
Peace ep. 8
Le gocce di pioggia cadono incessantemente tutt'attorno al mio corpo. Cammino, a testa bassa, con il cappuccio in capo, diretto verso colui che potrebbe aprirmi la mente, salvarmi dall'abisso nel quale sto per precipitare. La mia testa priva di emozioni fissa il marciapiede, qualche cicca di sigaretta passa sotto il mio sguardo mentre con le mani in tasca continuo il percorso, senza pensieri, con la mente completamente svuotata a causa di quelle 'cose' che sono e diverranno il mio inferno. Manca poco.
Alzo lo sguardo al cielo, nero come la pece.
Eccomi, finalmente. Un palazzo che visto dall'esterno sembra dovesse crollare da un momento all'altro, come se una folata di vento potesse spazzarlo via in un attimo. Rivolgo il mio sguardo verso il citofono: Giovanni C. … Marco P. ... Lorenzo F. … SERGIO V.
Eccolo, finalmente. Premo il pulsante.
Il rumore del campanello rompe la monotonia del fastidioso suono delle gocce di pioggia che si frantumano sull'asfalto.
Attendo, nessuno risponde. Riprovo.
Mentre sto allungando la mano, ecco un altro suono, che mi paralizza il braccio a un centimetro dal bottone.
'CLICK'
Il portone di ferro si apre leggermente. Lo aiuto ad aprirsi completamente ed eccomi dentro.
Un palazzo fatiscente, completamente privo di colori. L'unica macchia che si distingue nel totale grigio è quella di umidità più scura di tutto il resto, sul soffitto. Comincio a salire le scale, uno scalino dopo l'altro: 'A che piano abitava? Non ricordo, colpa di quelle pillole di merda...' . Mi affido all'istinto e arrivo all'ultimo piano, dove le scale finiscono e inizia un lungo corridoio, lugubre e buio. Comincio a percorrerlo, facendo attenzione ad ogni singolo campanello. Tutti nomi che ai miei occhi appaiono sconosciuti. Alcuni potevano essere addirittura amici di infanzia, ma la mia testa se ne stava via via andando sempre di più, ricordavo a malapena chi fossi io. Guardo a destra, poi a sinistra, poi di nuovo a destra... Ecco! Un campanello senza nome, deve essere sicuramente questo. Mi avvicino e mi accorgo che la porta è semiaperta... :
'É permesso?' dico, mentre lentamente metto un piede dentro l'appartamento. Appeno poggio la suola sul pavimento, questo emette uno scricchiolio che mi frantuma un timpano e allo stesso tempo mi terrorizza... 'E se non fosse questo l'appartamento? Se avessi sbagliato? Se un'altra volta la mia mente mi avesse giocato un brutto scherzo?'.
Adesso sono entrato del tutto. Faccio un passo avanti, sono nel salone, ne sono sicuro. Totale oscurità.
Tutte le finestre sono abbassate, le luci spente, eccetto una. Va ad intermittenza, probabilmente è rotta; attorno volano un sacco di insetti, per loro quella luce è una divinità da venerare:
'Entra, entra. Vieni pure'.
Abbassai lo sguardo. Nella fioca luce che emetteva quella lampada, potevo vedere una poltrona che mi dava le spalle:
'Sergio? Sei tu? Finalmente, pensavo di aver sbagliato appartamento.'
Si alzò, si girò, mi fissò dritto negli occhi:
'Ma guardati, fai ribrezzo. I tuoi occhi sono vuoti, il tuo volto è pallido, la tua voce è quasi impercettibile. Sei un debole, quelle pillole...'
'NON PARLARE DI QUELLE PILLOLE' gridai;
'NON URLARE CON ME!' sbraitò a sua volta Sergio 'Ti stai decomponendo, cerebralmente intendo, e ne risente il tuo fisico. La tua vita dipende dalla mia, non osare fare il gradasso con me!
'Sergio...' dissi flebilmente
'Zitto!' mi interruppe bruscamente 'Guarda!' e puntò il dito contro la lampada che era l'unica fonte di luce nella stanza: 'Li vedi quegli insetti che volano intorno alla lampada? Tu sei uno di quelli ed io sono la luce. Dipendi da me. Se dovessi spegnermi, non avresti più uno scopo, la tua vita sarebbe persa, con la differenza che quegli insetti ne troverebbero un'altra attorno a cui volare, tu non troverai un altro me!'
'Sergio... perché mi hai chiamato? Perché mi hai fatto venire qui?'
'Per ricordarti di quello che sei, un insetto che dipende da me.'
'Solo per questo?'
'…' Sergio si girò di spalle, si recò di fronte ad un cassetto, lo aprì e tirò fuori una fialetta vuota 'Sai cosa devi fare...'
In quel momento ruotarono ingranaggi nella mia testa, rotelle si incrociavano con pezzi di metallo, catene venivano tirate nel mio cervello per azionare i nervi che lo collegavano al mio braccio. Mi alzai una manica, il mio braccio era cosparso da moltissimi tagli, ormai cicatrizzati.
'Datti da fare' disse Sergio mentre mi passava un coltello, lo puntai contro uno spazio privo di graffi e osservai il mio sangue scorrere dal mio braccio fino ad arrivare sul rancido pavimento. Sergio portò la provetta sotto il fiume di liquido rosso che scendeva dal mio taglio e ne riempì una piccola parte. Mi passò un fazzoletto e lo portai sulla ferita grondante di sangue. Mi strappò il coltello dalle mani, leccò la parte rossa e disse scocciato: 'Vattene adesso'.
Girai i tacchi e uscii dall'appartamento.
Sono deluso. Pensavo mi avesse detto qualcosa per tirarmi su, per farmi vivere questi giorni di sanità che mi rimangono in modo diverso. E invece no. Stavo per precipitare in un burrone, mi avrebbe potuto tirare su, ma non l'ha fatto. Mi ha solo ricordato che quando avrei toccato il fondo, sarei morto.
Si stava nutrendo di me.
I pensieri che ho avuto sulla strada del ritorno? Nulla, come al solito. Probabilmente l'indomani mi sarei dimenticato tutto ciò che fosse successo il giorno prima. Camminavo a testa bassa, diretto verso coloro che potrebbero aprirmi la mente, salvarmi dall'abisso nel quale stavo precipitando. Arrivai a casa, aprii l'armadietto dei medicinali, presi le pillole.
Mi coricai sulla poltrona, con la luce della televisione che mi illuminava la faccia vuota, rendendola più bianca di quello che già non fosse.
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