sabato 21 gennaio 2017

Peace ep.14

Non riesco a chiudere occhio.
Nella mia mente rimbomba l'eco di quelle poche ma nitide parole: «Ci rivedremo presto...».
Lo ha visto! Non può non averlo visto! Era lì, nel bel mezzo del corridoio, come un quadro da mostrare con orgoglio agli ospiti, a cui spettava ammirarlo nei più minimi dettagli: tre linee, un punto di incontro, un cerchio che le circondava, rosso sangue, che spiccava sulla parete giallognola e malmessa.
Giovanni, che tu sia maledetto!
Solo, figure e pensieri affollano la mia mente; creano mille immagini e rumori che non mi permettono di assopirmi e sprofondare nel baratro del mio subconscio.
BUM BUM BUM
Un brivido corre lungo la mia spina dorsale, che mi immobilizza con gli occhi persi nel buio della notte ormai tarda.
BUM BUM BUM
BUM BUM BUM
Bussano alla porta, a quest'ora della notte: lo sapevo, lo sapevo! Sono stato sprovveduto, ho sbagliato, ora ne pago le conseguenze. Me lo merito, me lo merito!
BUM BUM BUM
La stanno buttando giù! Cerco di coprirmi il più possibile con le strette coperte, che spero mi facciano da scudo contro ciò che stava per sbarrarmi gli occhi una volta per tutte.
Il rumore della porta che viene sfondata. Una luce, come di una torcia, che risplende all'improvviso dritta nei miei occhi, accecandomi:
«Eccolo, eccolo! Lo abbiamo trovato! Prendetelo, forza!»
Un'ombra si avvicina a me minacciosa, allunga le sue lunga braccia verso il mio corpo e finalmente spalanco gli occhi, respirando affannosamente nel cuore della notte.
Si son fatte le 4.
Basta! Adesso basta! Non resisto più... sto impazzendo...
Mi reco verso la cucina, arrancando nelle tenebre, andando a tentoni e tastando le pareti. Ecco, finalmente... accendo la luce, afferro un coltello, me lo punto dritto sui polsi. Mentre una lacrima mi scorre sul volto, coi denti serrati...
La lama cade sul pavimento di marmo, scalfendo una mattonella, ed io con lo sguardo fisso al suolo e con i pugni chiusi, decido che questa storia deve finire una volta per tutte.
Mi infilo il cappotto, raccolgo il coltello da terra e mi fiondo fuori.
Non ho più nulla da perdere.



Qualcuno bussava alla porta... controllai la sveglia: le 4:30. Chi poteva essere a quell'ora della notte? Uno scherzo di cattivo di gusto da parte di qualche ragazzino che aveva alzato un po' troppo il gomito quella sera, di sicuro.
Richiusi gli occhi, ma quel rumore non accennava ad acquietarsi.
Infastidito, appoggiando il primo piede sul freddo pavimento dell'appartamento, mi tornò alla mente l'incontro della giornata precedente con Michele... sembrava così strano, qualcosa lo turbava, lo infastidiva. Forse questa storia degli omicidi era diventata troppo stressante un po' per tutti.
Attraversai il corridoio, con la testa pesante a causa dell'improvviso risveglio. Accesi la luce nella sala d'ingresso e quasi sbarrai gli occhi a causa dell'improvvisa quantità di luce che colpì le mie pupille, ormai abituate all'oscurità.
«CHI È CHE SI DIVERTE A QUEST'ORA? ANDATE VIA, VECCHI UBRIACHI!» gridai.
Il trambusto, però, aumentava sempre più. Alzai lo spioncino, e sbirciai al di là della porta. Non credevo ai miei occhi: era Michele.
Levai il chiavistello:
«Michele! Cosa ci fai qui a quest'or...»
Un'ondata di freddo mi trapassò il petto. Abbassai lo sguardo: un pugnale trafiggeva il mio sterno, dal quale un rivolo di sangue colava denso, finendo per macchiare il pavimento.
Alzai lo sguardo: l'ultima cosa che vidi fu lo sguardo vuoto di Michele che mi fissava con un'espressione apatica, che non faceva trasparire alcuna emozione.



Arrivai a casa.
Mi ero dimenticato di chiudere a chiave la porta dell'appartamento. Estrassi il coltello sporco di sangue dalla tasca e lo gettai nel lavabo della cucina.

Mi tuffai sul letto, con ancora indosso il cappotto, che pesava sul mio corpo, mentre nel lavandino una lama colma del sangue di Giovanni, che pesava sulla mia mente.

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