Non riesco a chiudere occhio.
Nella mia mente rimbomba
l'eco di quelle poche ma nitide parole: «Ci
rivedremo presto...».
Lo
ha visto! Non può non averlo visto! Era lì, nel bel mezzo del
corridoio, come un quadro da mostrare con orgoglio agli ospiti, a cui
spettava ammirarlo nei più minimi dettagli: tre linee, un punto di
incontro, un cerchio che le circondava, rosso sangue, che spiccava
sulla parete giallognola e malmessa.
Giovanni,
che tu sia maledetto!
Solo,
figure e pensieri affollano la mia mente; creano mille immagini e
rumori che non mi permettono di assopirmi e sprofondare nel baratro
del mio subconscio.
BUM
BUM BUM
Un
brivido corre lungo la mia spina dorsale, che mi immobilizza con gli
occhi persi nel buio della notte ormai tarda.
BUM
BUM BUM
…
BUM
BUM BUM
Bussano
alla porta, a quest'ora della notte: lo sapevo, lo sapevo! Sono stato
sprovveduto, ho sbagliato, ora ne pago le conseguenze. Me lo merito,
me lo merito!
BUM
BUM BUM
La
stanno buttando giù! Cerco di coprirmi il più possibile con le
strette coperte, che spero mi facciano da scudo contro ciò che stava
per sbarrarmi gli occhi una volta per tutte.
Il
rumore della porta che viene sfondata. Una luce, come di una torcia,
che risplende all'improvviso dritta nei miei occhi, accecandomi:
«Eccolo,
eccolo! Lo abbiamo trovato! Prendetelo, forza!»
Un'ombra
si avvicina a me minacciosa, allunga le sue lunga braccia verso il
mio corpo e finalmente spalanco gli occhi, respirando affannosamente
nel cuore della notte.
Si
son fatte le 4.
Basta!
Adesso basta! Non resisto più... sto impazzendo...
Mi
reco verso la cucina, arrancando nelle tenebre, andando a tentoni e
tastando le pareti. Ecco, finalmente... accendo la luce, afferro un
coltello, me lo punto dritto sui polsi. Mentre una lacrima mi scorre
sul volto, coi denti serrati...
La
lama cade sul pavimento di marmo, scalfendo una mattonella, ed io con
lo sguardo fisso al suolo e con i pugni chiusi, decido che questa
storia deve finire una volta per tutte.
Mi
infilo il cappotto, raccolgo il coltello da terra e mi fiondo fuori.
Non
ho più nulla da perdere.
Qualcuno
bussava alla porta... controllai la sveglia: le 4:30. Chi poteva
essere a quell'ora della notte? Uno scherzo di cattivo di gusto da
parte di qualche ragazzino che aveva alzato un po' troppo il gomito
quella sera, di sicuro.
Richiusi
gli occhi, ma quel rumore non accennava ad acquietarsi.
Infastidito,
appoggiando il primo piede sul freddo pavimento dell'appartamento, mi
tornò alla mente l'incontro della giornata precedente con Michele...
sembrava così strano, qualcosa lo turbava, lo infastidiva. Forse
questa storia degli omicidi era diventata troppo stressante un po'
per tutti.
Attraversai
il corridoio, con la testa pesante a causa dell'improvviso risveglio.
Accesi la luce nella sala d'ingresso e quasi sbarrai gli occhi a
causa dell'improvvisa quantità di luce che colpì le mie pupille,
ormai abituate all'oscurità.
«CHI
È
CHE SI DIVERTE A QUEST'ORA? ANDATE VIA, VECCHI UBRIACHI!» gridai.
Il
trambusto, però, aumentava sempre più. Alzai lo spioncino, e
sbirciai al di là della porta. Non credevo ai miei occhi: era
Michele.
Levai
il chiavistello:
«Michele!
Cosa ci fai qui a quest'or...»
Un'ondata
di freddo mi trapassò il petto. Abbassai lo sguardo: un pugnale
trafiggeva il mio sterno, dal quale un rivolo di sangue colava denso,
finendo per macchiare il pavimento.
Alzai
lo sguardo: l'ultima cosa che vidi fu lo sguardo vuoto di Michele che
mi fissava con un'espressione apatica, che non faceva trasparire
alcuna emozione.
Arrivai
a casa.
Mi
ero dimenticato di chiudere a chiave la porta dell'appartamento.
Estrassi il coltello sporco di sangue dalla tasca e lo gettai nel
lavabo della cucina.
Mi
tuffai sul letto, con ancora indosso il cappotto, che pesava sul mio
corpo, mentre nel lavandino una lama colma del sangue di Giovanni,
che pesava sulla mia mente.
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