mercoledì 2 dicembre 2015

Peace ep.9






L'aria gelida sferzava i tetti di Torino, le ombre facevano posto alle luci, ma un bagliore fulmineo di due occhi balzo' grazie alla fioca luce del mattino, due occhi gelidi, più gelidi dell'inverno piemontese.
" Basta solo aspettare, aspettare, aspettare."
Era già li' dalla notte precedente, Sergio lo aveva guidato in quella palazzina, dove sarebbe arrivata la chiave per sconfiggere il nemico invisibile che li tormentava.
"La trappola scattera' presto". 
Ora sto bene
Sto bene
Oggi il ragno farà scattare la sua rete su tutti quegli insetti.
Moriranno tutti.
Tutti."
Una macchina della polizia si è fermata proprio davanti alla palazzina
"Inizia lo show"




"Bum bum bum"
"La porta...qualcuno sta bussando alla porta"
Giovanni si sentiva strano.
 E non era per la sveglia inattesa. L'aria era ferma. 
Immobile. 
In attesa.
"Chi è?"
"Polizia!"
"La polizia?" E cosa poteva volere? Ieri mi avevano cacciato in malo modo ed adesso erano sulla porta della mia casa 
Strano."
" Signor DeVita la questione è urgente,per favore apra"
Giovanni apri' la porta e si vide davanti due poliziotti, uno era evidentemente straniero, dell'est, l'altro era quello che lo aveva cacciato il giorno prima.
"Signor DeVita ci segua immediatamente la questione è di vita o di morte"
"Di morte? Cosa ho fatto? Se è per fascicoli di ieri, io non ho nulla a che fare con quegli omicidi!"
"Saprà tutto a temp debit."
Una donna.
Una donna si era materializzata davanti a loro.
Era la signora Russo. 
La sua vicina.
Ma non era quello ad averlo bloccati.
Le pupille erano completamente nere.
E aveva un buco nel petto.
E si avvicinava a loro.
Inesorabile.
L'agente straniero prese la pistola.
"Non faccia un passo!!!"
Ma continuo a camminare.
Non da sola.
Gli altri inquilini della palazzina erano comparsi nel corridoio.
Come spettri, con buchi in testa, nella pancia e sul cuore.
Era orribile.
Puntavano loro.
La vicina si avvento' su di loro e Alek sparo'.


Uno sparo."
"Forse è già troppo tardi,qualcuno ci ha preceduto"
Carlo non era il tipo da credere alla coincidenze, era evidente che qualcuno li stava precedendo, e quel qualcuno era dannatamente veloce.
"Maresciallo, abbiamo poco tempo, dobbiamo entrare anche noi, per favore, faccia restare la signora Raimondi al volante e venga con me."
Il maresciallo Fumagalli aveva l'aria di chi ha appena mangiato un panino pieno di uova marce, ma lo segue senza dir nulla, scende dalla macchina e presa la beretta si sistema di traverso sul portone dell'ingresso in pietra, sa che bisogna sbrigarsi, uno sparo non è mai solo uno sparo, agisce meccanicamente, guarda dentro al portone, poi mi guarda;
 "al 3 entriamo! Uno, due..."
Vorrebbe dir tre, ma sbirciando il portone semiaperto qualcosa lo aveva paralizzato, lasciandolo di stucco.
L'aria stessa all'interno puzzava di morte, sangue e cadaveri ovunque.
Un massacro.
Alek e il signor De Vita stavano arrancando verso l'ingresso, portando l'agente Ramino,che aveva una lunga ferita sulla gamba.
Ma la cosa assurda non era questa, era che i cadaveri stavano cominciando a rialzarsi, come macabri burattini si animavano e riprendevano vita, si agitavano e si rialzavano.
Fumagalli mi guardo' paralizzato "s
Stanno arrivando"
"Chi?"
"Tutti quanti"

La squadra del maresciallo Fumagalli era già in crisi, le marionette stavano facendo un ottimo lavoro, Sergio non avrebbe avuto di che lamentarsi, se non fosse per il tenente e quel ragazzino che cercano di entrare nella palazzina.
" Devo scendere in campo, la missione deve concludersi senza superstiti"
Si gettò dal tetto del palazzo di fronte e atterrò sulla strada apparentemente senza peso
" Le parole sono la forza, il simbolo è la mia croce"
Estrasse la sig-sauer dalla cintura, e apri' il fuoco.


giovedì 1 ottobre 2015

Peace ep. 8






Le gocce di pioggia cadono incessantemente tutt'attorno al mio corpo. Cammino, a testa bassa, con il cappuccio in capo, diretto verso colui che potrebbe aprirmi la mente, salvarmi dall'abisso nel quale sto per precipitare. La mia testa priva di emozioni fissa il marciapiede, qualche cicca di sigaretta passa sotto il mio sguardo mentre con le mani in tasca continuo il percorso, senza pensieri, con la mente completamente svuotata a causa di quelle 'cose' che sono e diverranno il mio inferno. Manca poco.
Alzo lo sguardo al cielo, nero come la pece. 
Eccomi, finalmente. Un palazzo che visto dall'esterno sembra dovesse crollare da un momento all'altro, come se una folata di vento potesse spazzarlo via in un attimo. Rivolgo il mio sguardo verso il citofono: Giovanni C. …  Marco P. ... Lorenzo F. … SERGIO V.
Eccolo, finalmente. Premo il pulsante.
Il rumore del campanello rompe la monotonia del fastidioso suono delle gocce di pioggia che si frantumano sull'asfalto.
Attendo, nessuno risponde. Riprovo.
Mentre sto allungando la mano, ecco un altro suono, che mi paralizza il braccio a un centimetro dal bottone.
'CLICK' 
Il portone di ferro si apre leggermente. Lo aiuto ad aprirsi completamente ed eccomi dentro.
Un palazzo fatiscente, completamente privo di colori. L'unica macchia che si distingue nel totale grigio è quella di umidità più scura di tutto il resto, sul soffitto. Comincio a salire le scale, uno scalino dopo l'altro: 'A che piano abitava? Non ricordo, colpa di quelle pillole di merda...' . Mi affido all'istinto e arrivo all'ultimo piano, dove le scale finiscono e inizia un lungo corridoio, lugubre e buio. Comincio a percorrerlo, facendo attenzione ad ogni singolo campanello. Tutti nomi che ai miei occhi appaiono sconosciuti. Alcuni potevano essere addirittura amici di infanzia, ma la mia testa se ne stava via via andando sempre di più, ricordavo a malapena chi fossi io. Guardo a destra, poi a sinistra, poi di nuovo a destra... Ecco! Un campanello senza nome, deve essere sicuramente questo. Mi avvicino e mi accorgo che la porta è semiaperta... :
'É permesso?' dico, mentre lentamente metto un piede dentro l'appartamento. Appeno poggio la suola sul pavimento, questo emette uno scricchiolio che mi frantuma un timpano e allo stesso tempo mi terrorizza... 'E se non fosse questo l'appartamento? Se avessi sbagliato? Se un'altra volta la mia mente mi avesse giocato un brutto scherzo?'. 
Adesso sono entrato del tutto. Faccio un passo avanti, sono nel salone, ne sono sicuro. Totale oscurità.
Tutte le finestre sono abbassate, le luci spente, eccetto una. Va ad intermittenza, probabilmente è rotta; attorno volano un sacco di insetti, per loro quella luce è una divinità da venerare: 
'Entra, entra. Vieni pure'.
Abbassai lo sguardo. Nella fioca luce che emetteva quella lampada, potevo vedere una poltrona che mi dava le spalle:
'Sergio? Sei tu? Finalmente, pensavo di aver sbagliato appartamento.'
Si alzò, si girò, mi fissò dritto negli occhi:
'Ma guardati, fai ribrezzo. I tuoi occhi sono vuoti, il tuo volto è pallido, la tua voce è quasi impercettibile. Sei un debole, quelle pillole...'
'NON PARLARE DI QUELLE PILLOLE' gridai;
'NON URLARE CON ME!' sbraitò a sua volta Sergio 'Ti stai decomponendo, cerebralmente intendo, e ne risente il tuo fisico. La tua vita dipende dalla mia, non osare fare il gradasso con me!
'Sergio...' dissi flebilmente 
'Zitto!' mi interruppe bruscamente 'Guarda!' e puntò il dito contro la lampada che era l'unica fonte di luce nella stanza: 'Li vedi quegli insetti che volano intorno alla lampada? Tu sei uno di quelli ed io sono la luce. Dipendi da me. Se dovessi spegnermi, non avresti più uno scopo, la tua vita sarebbe persa, con la differenza che quegli insetti ne troverebbero un'altra attorno a cui volare, tu non troverai un altro me!'
'Sergio... perché mi hai chiamato? Perché mi hai fatto venire qui?'
'Per ricordarti di quello che sei, un insetto che dipende da me.'
'Solo per questo?'
'…' Sergio si girò di spalle, si recò di fronte ad un cassetto, lo aprì e tirò fuori una fialetta vuota 'Sai cosa devi fare...'
In quel momento ruotarono ingranaggi nella mia testa, rotelle si incrociavano con pezzi di metallo, catene venivano tirate nel mio cervello per azionare i nervi che lo collegavano al mio braccio. Mi alzai una manica, il mio braccio era cosparso da moltissimi tagli, ormai cicatrizzati. 
'Datti da fare' disse Sergio mentre mi passava un coltello, lo puntai contro uno spazio privo di graffi e osservai il mio sangue scorrere dal mio braccio fino ad arrivare sul rancido pavimento. Sergio portò la provetta sotto il fiume di liquido rosso che scendeva dal mio taglio e ne riempì una piccola parte. Mi passò un fazzoletto e lo portai sulla ferita grondante di sangue. Mi strappò il coltello dalle mani, leccò la parte rossa e disse scocciato: 'Vattene adesso'.
Girai i tacchi e uscii dall'appartamento. 
Sono deluso. Pensavo mi avesse detto qualcosa per tirarmi su, per farmi vivere questi giorni di sanità che mi rimangono in modo diverso. E invece no. Stavo per precipitare in un burrone, mi avrebbe potuto tirare su, ma non l'ha fatto. Mi ha solo ricordato che quando avrei toccato il fondo, sarei morto. 
Si stava nutrendo di me.
I pensieri che ho avuto sulla strada del ritorno? Nulla, come al solito. Probabilmente l'indomani mi sarei dimenticato tutto ciò che fosse successo il giorno prima. Camminavo a testa bassa, diretto verso coloro che potrebbero aprirmi la mente, salvarmi dall'abisso nel quale stavo precipitando.  Arrivai a casa, aprii l'armadietto dei medicinali, presi le pillole. 
Mi coricai sulla poltrona, con la luce della televisione che mi illuminava la faccia vuota, rendendola più bianca di quello che già non fosse.


sabato 12 settembre 2015

Peace ep. 7








"Organizzare una squadra speciale per gli omicidi irrisolti?"
Il maresciallo Fumagalli doveva essere impazzito, l'escalation di follia degli ultimi giorni  gli aveva evidentemente dato alla testa.
" Signore, è davvero necessario fare una cosa del genere?"

Il Maresciallo lo fulminò con lo sguardo, espirando grosse volute di fumo dal sigaro, perennemente acceso.
"Alek, se voglio il tuo parere, te lo chiederò, stanne certo"

Discussione chiusa.

Restava il fatto che il manipolo di persone che aveva riunito a al tavolo, sembravano più un gruppo di disperati che una task force per la ricerca di un serial killer.

Sempre che esista, un serial killer.

Alla sua destra era seduto il canuto Michele Ramino, un mite poliziotto, che era entrato nel corpo più per la vita comoda e la tranquillità della routine torinese che per vera vocazione.

Un peso, più che altro.

Alla sua sinistra sedeva la bella e gelida criminologa Vera Raimondi, capelli corvini e sguardo penetrante, con la vita sessuale di un geranio appassito e inquietante come poche.

E poi io, lo sventurato Alek  Poltorak, bravo con la pratica, meno con le "pratiche" burocratiche, ero stato trasferito in giro per l'europa come una patata bollente, non meno scomodo dei miei colleghi, dopotutto.

"Il motivo per cui vi ho riuniti è chiaro, c'è un assassino che agisce in maniera inspiegabile e brutale, irritracciabile e potenzialmente molto pericoloso, non abbiamo un suo profilo, nè ovviamente una vaga idea di dove colpirà la prossima volta."

"E questo lo dici perchè hai delle prove, o sono solo supposizioni capo?"

Per la seconda volta, il maresciallo lo fulminò con lo sguardo
" Alek non siamo in Ucraina qui, e tieni a freno la lingua, se non vuoi essere sospeso.
 Appena la squadra sarà al completo, partiremo subito con un piano adatto per la cattura del criminale"
Questa frase colpi' i presenti, Vera attaccò con la sua voce squillante:" Come? al completo? Non siamo tutti? "
" No signorina Raimondi, manca ancora la persona che guiderà le indagini"
La frase era stata pronunciata da una persona davanti alla porta della stanza, con voce sommessa, tranquilla ma la tempo stesso decisa.
Quasi candida
La voce di un ragazzo
" Buongiorno signori" esordi'.




" Sono felice che il Maresciallo Fumagalli abbia riunito la mia squadra cosi' in fretta"
Credo di non aver sentito bene, quel ragazzo aveva appena detto la "sua" squadra? Ma chi cazzo si credeva di essere?
" Sono certo che le vostre credenziali siano più che adeguate allo scopo per cui siete stati chiamati, rintracciare colui, o colei che si cela dietro agli efferati atti criminali di questi giorni.
Insomma, quello che la polizia non è riuscita a fare."

Questo era troppo

" Senti ragazzino, perchè non sentiamo le TUE di credenziali? Non mi pare di aver sentito nulla qui se non la tua stupida bocca dire cazzate"

Il ragazzo lo guardò, inespressivo

"Lui" disse il commissario, è il colloaboratore, cervello delle indagini nonchè principale finanziatore dell'arma dei Carabinieri e della polizia di stato. 
E' Carlo Fabbri, l'unico che può aiutarci a risolvere questa faccenda"
Carlo sorrise amabilmente

" Grazie maresciallo, sono sicuro che la nostra collaborazione sarà fruttuosa, anche se per arrivare a formulare un piano accurato, avrò bisogno che ogni idea su questi omicidi, anche quella detta dall'ultimo dei cittadini, mi sia riferita subito"
" A cosa si riferisce signorino Fabbri?"
" Al fascicolo che ha ricevuto oggi e che ho trovato abbandonato su una vostra scrivania mentre aspettavo fuori da questa stanza"
Il maresciallo boccheggiò, non aveva idea di cosa parlasse.
" Non si preoccupi dalla sua faccia capisco che lei non ne sapeva nulla, a differenza di alcuni presenti in questa stanza"
Lanciò un'occhiata eloquente
Che colpi' precisamente l'agente Ramino, paonazzo in faccia, con l'espressione di chi sa di aver fatto una cazzata
" Ma sono sicuro che da oggi in poi, non si verificheranno più questi incidenti"
"Ssi..certo signore"
"Bene, allora come prima cosa, voglio che l'autore di questo fascicolo, il signor De Vita, venga convocato immediatamente"
Il maresciallo aveva gli occhi fuori dalle orbite
"Convocare..un civile?"
"Esattamente, il signor De Vita farà parte della squadra di caccia all'assassino."

domenica 9 agosto 2015

Peace ep. 6

Un altro venerdì pomeriggio di un’altra settimana. La poltrona nera su cui sono seduto sembra quasi una madre che culla il proprio figlio e che non vuole lasciarlo andare, per paura dei pericoli di cui il mondo è cosparso. Il televisore dinanzi al mio volto emana una luce fioca che appena illumina la stanza, cupa, nonostante sia venerdì pomeriggio e il sole sia alto nel cielo. Da quando sono piccolo non ho mai amato la luce, tanto meno quella del sole. La voce che fuoriesce dalla scatola sui cui sono incollati i miei occhi risuona nella mia testa come un’incantevole ninna nanna, che mi fa pian piano assopire in grembo alla mia mamma, nera e colma di rattoppi. Non posso far altro che aspettare, aspettare qualcosa, una sveglia che mi tiri fuori da quelle sabbie mobili che mi trascinano sempre più giù, sempre più giù.
La mia mente cerca di liberarsi da quella stretta tanto incantevole e da quel canto soave, cercando qualche via di uscita, qualche aiuto che mi tiri fuori da quel pantano.
« Cocenia! Test clinici hanno dimostrato che assumendo questo nuovo psicofarmaco, finalmente potrete restare a casa a godervi il vostro programma preferito, comodamente stesi sul vostro divano senza pensieri che vi passino per la testa! Dite addio a migliaia di problemi! Compra Cocenia! Eletto prodotto dell’anno! »
Su un comodino, ai piedi di un’abat-jour lampeggiante, ecco un paio di pacchi di quelle pillole, aperti e rigorosamente vuoti.
« Forse questa volta ho veramente esagerato… »
Per fortuna la mia mente è ancora in grado di intendere.
DRIIIN
DRIIIN
DRIIIN
Il telefono comincia a suonare, un inferno per la mia testa. Nel mio cranio quel suono rimbomba più e più volte, fino a diventare un suono insopportabile, un ronzio di migliaia di mosche che mi stanno assalendo mentre affogo in quel lago paludoso. Cerco di liberarmi, ma più penso e più vado a fondo. Non devo arrendermi anche se la mia volontà sta pian piano sfociando in un senso di resa, non ce la faccio più.
Con le ultime forze alzo la cornetta.
« P… pront…o »
« L’hai fatto di nuovo vero? Ne avevo il presentimento, vengo subito da te »
e sventolando bandiera bianca, lascio cadere la cornetta del telefono per terra, mentre le mie palpebre si chiudono, vinto dalle paludi, addormentato dalla ninna nanna in grembo alla mia mamma.
Il volto di una ragazza, occhi blu come l’oceano, capelli castani come il legno della più bella delle querce e labbra rosso chiaro come il sangue nelle arterie. A prima vista aveva l’aspetto della più bella delle ninfe. Mi lancia un bicchiere d’acqua gelida in pieno volto, chiudo gli occhi mentre poche gocce mi scendono dai capelli.
« La devi smettere cazzo! Per fortuna che ho una copia delle tue chiavi e posso entrare quando mi pare, altrimenti saresti bello stecchito da un pezzo! Sai che a te tengo molto…»
Il freddo adesso si impadronisce del mio corpo, ho la maglia completamente bagnata, probabilmente non era il primo bicchiere che mi era stato tirato addosso prima che rinvenissi.
« Dove tieni le altre pasticche? »
« Cosa vuoi fare? »
« Secondo te cosa voglio fare? Ti faccio uscire da questo tunnel maledetto! »
Silenzio. Non rispondo.
Ripensandoci quella sensazione di totale rilassamento non era poi così male in confronto al mio stato attuale: freddo, vestiti fradici e abbastanza intontito.
« Proprio non vuoi farne a meno, eh? Ti preparo una spremuta, forse così starai meglio… »
Si reca in cucina con fare altezzoso senza mostrare alcuna emozione. Me ne sto appollaiato sulla poltrona che adesso è diventata quasi uno strumento di tortura ai miei occhi, dalla madre che culla il suo bambino si è trasformata nella perfida matrigna che rende schiavo il proprio figlio illegittimo.
Una rivista aperta per terra ai miei piedi, in attesa del suo ritorno decido di dargli una sfogliata…
« Ahia! Che sbadata! »
Mi alzo diretto verso i fornelli per andare a verificare cosa sia successo, mentre mi balza per la mente un pensiero che…No, non posso averlo pensato.
« Cosa ti è successo? »
« Niente stai tranquillo, mi sono tagliata mentre sbucciavo un’arancia. »
« Aspetta, vado a prenderti un cerotto »
Mentre mi incammino verso lo scaffale che avrebbe dovuto contenere ogni tipo di medicinale, controllo se non mi stesse seguendo. Corridoio vuoto, con le finestre aperte e la luce che mette in evidenza ogni singolo granello di polvere che si disperde nell’aria.
Eccomi finalmente, apro l’anta ed ecco il paradiso. Potevano essere almeno una trentina di scatole di Cocenia quelle lì, le sposto rischiando di farle cadere ed ecco in fondo all’armadietto un pacco di cerotti che probabilmente risalgono a tre mesi fa. Non ne faccio molto uso. Giro i tacchi pronto per tornare in cucina, esco nel corridoio ed arrivo dove era avvenuto l’incidente. Ma non trovo nessuno. BUM
Una porta viene sbattuta.
CLICK CLACK
e chiusa a chiave.
« NO! Cosa stai facendo?! »
« Ti sto guarendo… »
Sento il frastuono di scatole cadere al suolo, ma ecco che un brivido mi scorre per la spina dorsale.
Il rumore era simile a quello di ciottoli che uno ad uno cadono in una pozza d’acqua e capisco subito a cosa è dovuto.
« NOOOO! I risparmi di una vita! »
Il rumore dello scarico, la porta che si apre e Lei che si dirige verso l’uscita.
« Arrivederci » mi fa, con quasi un’aria di sfida.
Prima la mia mente era in grado di intendere, adesso non è più in grado né di intendere né di volere.
Mi reco in cucina e osservo il lavabo. Per essere un piccolo taglietto aveva causato una gran perdita di sangue che si era riversata quasi interamente nel lavello. No, non posso farlo, devo smetterla!
Non sono più in grado di controllare il mio corpo, intingo il dito nel sangue, sento la porta d’ingresso aprirsi, sta per uscire.
Mi reco da Lei, con un dito insanguinato, pronto all’azione.
« Senti, volevo dirti che mi dispiace… »
« So che hai fatto la cosa giusta, in fondo… »
« Grazie… »
Il suo rapido si sposta rapidamente verso la mia mano
« Attento hai il dito sporco… ma che stai facendo? Oh mio Dio! »
Comincio a scrivere sulla parete, traccio un cerchio, due righe nel mezzo e un numero. Uno strano simbolo si staglia adesso sul muro mentre Lei guarda con un’espressione di disgusto mista ad una di stupore.
Rientra nell’appartamento correndo all’impazzata, arriva in bagno, prende un paio di lamette per la barba e si taglia i polsi con una ferocia inaudita ed indescrivibile.
Ritorno in camera mia e guardo sotto al letto, non li ha scoperti per fortuna.
Tiro fuori una scatola, la apro ed i miei occhi si illuminano. Scatole su scatole di quella bontà, quella sostanza che mi solleva dalle pesantezze della vita.
Ne prendo una decina in un sol colpo e me torno in grembo alla mia mamma, mentre penso al corpo di mia sorella Maria per terra nel mezzo di un mare di sangue.

Scritto da Gianpiero Andriulli

lunedì 20 aprile 2015

Peace ep. 5






"Hai paura Giovanni?" Un volto...un volto...il buio...

Mi ero di nuovo appisolato sul bus.

Mi capita spesso ultimamente, e la cosa comincia ad irritarmi.
Paura, terrore.

Il mio terrore più grande è quello di non riuscire a trovarlo. Cerco qualcosa, qualcuno di inafferrabile, che mi ricordi il senso delle mie azioni.
Che pressione.
La mia stessa esistenza è un vuoto senza la minima possibilità di uscirne.
Ma che sto dicendo?
Devo trovarlo.
Esiste?
Mi interessa saperlo?
No.
Voglio solo prenderlo, essere più bravo di lui,più scaltro, ho trovato il filo che lega gli omicidi,..si, mi manca poco.
Era immerso nei suoi pensieri e si era ritrovato davanti alla centrale di Polizia di Torino. Doveva parlare con qualcuno delle sue teorie, dovevano ascoltarlo, sarebbe bastato essere credibile, anche se la cosa sembrava folle.
" Buongiorno!"
---
"Il sesto caso di omicidio in 5 giorni"
Il maresciallo aspirava ampie boccate dalla sigaretta, mentre osservava il parapetto sfondato. Riccardo Fumagalli era in servizio da ormai 20 anni, e non aveva mai visto una cosa simile.
La suicida era uscita presto di casa, aveva comprato un giornale, dei fiori e poi aveva deciso di fare una passeggiata sul ponte, si era messa a correre e si era lanciata dal ponte con una tale forza da rompere la grata di protezione.

"Un bisonte avrebbe fatto meno danni"

Come faceva una donna di 25 anni a fare una cosa del genere?"
" signore, l'abbiamo ritrovata!"

La guardia costiera issò a bordo della vedetta il cadavere della donna, bianco sotto il sole malinconico delle 2 del pomeriggio.
La donna era integra, se non per il viso, sfigurato dall'impatto con la grata.


" Santo cielo"
Si voltò verso la strada, chiusa coi nastri gialli, in lontananza la Mole faceva capolino dagli edifici più alti, nuvole nere cominciavano ad addensarsi in lontananza,e avrebbero lavato via anche quella giornata.Altre lacrime grigie che lavano via quel sangue.
"La città sta impazzendo."
---
" Un collegamento tra gli omicidi?"
"Certo, se lei volesse controllare gli appunti che ho preso, qui in bass.."
"Certo, signor...signor?
"Giovanni"
"Giovanni...Giovanni come?"
"Giovanni De Vita"
"Signor De Vita, come vede siamo molto occupati al momento, se vuole può lasciarci la sua documentazione, noi poi, verificheremo"
Giovanni guardava in giro per la centrale, un disordine estremo regnava nella stanza illuminata da alcune finestrelle,cartelle su cartelle che Giovanni non aveva problemi ad immaginare mai nemmeno lontanamente sfogliate, la luce donava alla stanza un'atmosfera spettrale e vagamente retrò, " Poi, poi potrebbe essere troppo tardi"

"Signore, la prego di non insistere, come vede siamo molto occupati, le faremo sapere se avremo qualche informazione"
"Niente, inutile insistere, quel polizziotto era troppo ottuso o troppo pigro per capire la reale portata di quello che stava accadendo"
Uscendo dalla centrale, l'aria fredda del pomeriggio lo fece rabbrividire, la luce stava sparendo tuffandosi nel buio, si accese una sigaretta, e comincio a camminare verso casa, fino a scomparire nella notte.

Non aveva idea di essere osservato.