Il coltello scivola sinuoso sulle vesti della piccola, squarciandole e rivelando la pelle candida, mai macchiata da peccato alcuno.
Gli occhi azzurri della donna si fermano per qualche attimo in quelli gonfi di lacrime della bambina, e la piccola potrebbe quasi leggervi un accenno di esitazione.
Il respiro le si mozza nei polmoni per qualche istante, ma il gelo opprimente ed il nodo in gola sembrano ricordarle qual è il suo compito.
Solleva dunque lo sguardo verso il disco nero di Luna, ed al contempo solleverà anche la mano destra stringente il coltello sopra il corpo della piccola, penzolando su di esso come una spada di Damocle.
Uno, due, tre minuti. Infine, senza staccare lo sguardo dalla Luna Nera, abbasserà di scatto il braccio,
CERCANDO, PROVANDO
a recidere con il filo del coltello il collo tenero della piccola, di sgozzare l'agnello innocente che riverserà il suo sangue sacrificale direttamente sulle radici dell'albero, come suo nutrimento.)
Nutriti di violenza...
Assorbi il sangue come acqua e riempiti di Odio, o Sambuco, perché è l'Odio che ti appresti a servire. Che il sangue lavi qualunque spinta al bene.
(Cerca di poggiare la mano libera sulla chiazza di sangue che va via via allargandosi, e con essa disegnare un cerchio di luna sul nodoso legno dell'Albero.)
Che tu possa esistere con il solo scopo di servire me, con il potere della Luna Nera.
venerdì 23 dicembre 2016
martedì 6 dicembre 2016
Peace ep. 13
Il tono di voce di Paolo non lasciava presagire nulla di buono
Era sempre cosi' quando si metteva a riflettere, cupo freddo e calcolatore, un tono di voce che tradiva le sue fattezze e la sua giovane età
Eravamo in un piccolo ufficio, asettico, i riscaldamenti al massimo per contrastare il gelo pungente della sera, che sembrava filtrare come un presagio in tutta la città
L'aria è irreale.
Lo ascolto in silenzio, sapevo che voleva chiedermi qualcosa, o non mi avrebbe convocato da solo, senza il resto della squadra.
"Non posso rischiare che l'operazione salti, da come ci hanno teso quell'agguato è chiaro che stiamo procedendo nella direzione giusta e che tu avevi ragione Giovanni, tutti gli omicidi sono collegati"
Deglutisco
Avrei preferito non pensare che un folle omicida riesca a compiere delitti tanto elaborati
Ma ne ero sicuro.
Sicurissimo.
Paolo prese dei fascicoli e li mise sulla scrivania davanti a sè
" Alek, Vera, Michele ed Fumagalli, tra loro si nasconde una spia, e per quanto mi sforzi di trovare la mela marcia, sono convinto che potrebbero essere tutti, anche il più insospettabile, chiunque ci sia dietro vuole che non arriviamo alla verità, e sa che se verremo tolti di mezzo i casi verranno archiviati come inusuali suicidi, e non come una macchinazione ben più grande, qualcosa di oscuro è calato su questa città, come un'ombra, e sembra volerci soffocare tutti"
Paolo si siede, si mette le mani in testa e sospira, sembra molto più stanco adesso, quasi avvilito dallo svolgersi degli eventi.
Deglutisco di nuovo, " E se analizzassimo le cose da un'altra prospettiva? Non è un movente che dobbiamo cercare, la razionalità in casi limite come questo, è il modo migliore per andare fuori strada, ci siamo preoccupati su CHI sta uccidendo, ma non ci stiamo concentrando su CHI è stato ucciso, forse se risalissimo ad un punto comune, un evento un qualcosa che collega le vittime, avremo un quadro della situazione più chiaro"
Paolo mi guardò di sottecchi, era drizzato sulla sedia adesso, uno scintillio sinistro comparve nei suoi occhi
" Si, potrebbe essere un'idea, e anche se non vedo come possano esserlo, forse è proprio questo che serve, una prospettiva diversa"
Si alzò e bevve un bicchiere d'acqua.
Sta pensando
Non riesco a capire, se i suoi pensieri sono rivolti agli omicidi, o alla possibilità di essere uccisi.
"Dillo agli altri, indagare sulle vittime del presunto assassino, cercare collegamenti, movimenti bancari, qualsiasi cosa possa essere curioso od inusuale, è l'unico modo, e non ne verremo fuori"
Rimango fermo, se aveva qualche dubbio sulla squadra, perchè farli partecipare attivamente alle indagini?
Non aveva senso
Nessun senso
"Nel frattempo tu, Giovanni, indagherai su di loro, scoprirai chi ci ha venduto e lo dirai a me, indagherai su chi deve indagare, e per un cane sciolto come te non deve essere una novità"
Lo disse tutto d'un fiato, come se fosse un discorso già preparato, impostato.
Come se fosse arrivato già a quelle conclusioni e volesse in qualche modo convincermi.
Stava recitando.
Ma non lo dico
Lo guardo in silenzio.
" Certo, facendo cosi', qualcuno verrà allo scoperto e io potrò scoprire la verità"
Un ghigno, come un lupo di fronte alla preda compare adesso sulla sua bocca.
"Perfetto, è il modo migliore di agire, se non c'è altro, puoi andare Giovanni"
Altro da dire?
Parecchie cose.
Paolo si comportava in maniera strana, con una morbosità per il caso che va al di là della semplice voglia di giustizia.
Ma non dico niente.
prendo i fascicoli, mi alzo, esco.
"Sospetta qualcosa, è furbo, più di quanto mi aspettassi quando l'ho scelto, ma il disegno si sta compiendo, e quando tutte le pedine saranno al loro punto, sarò io a muovere la regina e a fare scacco matto"
giovedì 17 novembre 2016
Piove.
piove
piove
piove
acqua
gocce scendono
plic
plac
sempre più giù
plic
plac
con un rumore cadenzato
tac
tac
tac
tic
tac
rumore di macchine in lontananza
plic
plac
gocce cadenzate
ritmo col motore
tac
vroom
tac
vroom
tic
vroom
tac
il ritmo aumenta
l'acqua scorre incessante
non c'è luce.
la finestra è vuota dal chiarore
tuoni in lontananza
ed è subito notte.
martedì 18 ottobre 2016
Il mio senso di colpa.
Ti sei consumata,ti sei rovinata.
Non sorridi più,non ridi più.Ti sei 'fottuta',completamente.
Sei morta dentro,sei morta.
E' colpa di quella fottuta rabbia.
Quella rabbia che ho rinchiuso per anni e anni.
Anche il dolore ha avuto il suo spazio.
Ho sempre lasciato che mi divorasse da dentro.
Se ora son fredda è colpa sua.
E' la rabbia che mi ha rubato tutti gli altri sentimenti.
Ma in fondo non è così male.
Essere pelle fuori e ghiaccio dentro.
Il sole non mi raggiunge più da tanto tempo ormai.
Vivo nel freddo del mio corpo razionale.
Ora il mio cuore serve solo a pompare sangue.
Ma, manco quello sa fare.
Non riesce neanche a tenermi in vita.
Se sono diventata così,in teoria è colpa sua.
E' lei che mi ha distrutta.
E' lei che mi ha ingannato.
E' quella fottuta rabbia.
L'unico sentimento che riesco a provare in questi momenti, è l'amore, e anche l'odio, oh si questi ormai fanno parte di me.
Sei assetata di sangue,ti nutri di dolore.
E noi ti abbiamo tolto il nutrimento.
domenica 9 ottobre 2016
UN NUOVO GIORNO
La mia vita è scandita da un orologio. Detesto gli orologi. In camera mia ce ne sono tre: uno con le lancette sul comodino, uno appeso alla parete , un altro, digitale, sulla scrivania. Ce li ha messi mia madre, per essere sicura che non dimentichi. Io non ne avrei mai messi tre in una sola stanza. Detesto gli orologi.
Mi sveglio, è mattina. L’orologio sul comodino segna le 7 in punto. Quello appeso al muro le 7.03. Quello sulla scrivania le 7.05.
Mi alzo. Ho freddo. Sento sempre freddo. Vado in cucina. Lì l’orologio fa le 7.08. 8 minuti avanti, rispetto a quello sul comodino, 5 minuti avanti rispetto a quello appeso al muro, 3 minuti avanti a quello sul comodino. Sto impazzendo.
Mi guardo allo specchio. Sono stanco.
Sorridi, mi dico, e il mondo sorriderà con te. Piangi e piangerai da solo.
E io sorrido, davanti allo specchio. È un sorriso forzato, ma può bastare. Deve bastare. E sorrido. Sono la creatura più sorridente che abbia mai pascolato sulla verde terra di dio. A proposito, mi viene in mente che quand’ero piccolo mia madre mi obbligó a frequentare il catechismo. A me piaceva. C’erano tanti altri ragazzi come me. Non era male.
Ci davano i compiti. Si, al catechismo. Quelli della scuola non bastavano giustamente. Io in ogni caso non li facevo mai. A dire il vero nessuno li faceva. Tranne qualche raro caso disperato. Poi un giorno succede che ci mettiamo a leggere una storia. Parla di un pastore e di un lupo. Ora non ricordo esattamente cosa facessero. La catechista mi guarda. “Chi è il pastore?” mi chiede. Rispondo come avrei risposto alla mia maestra di scuola “È il protagonista della storia”. Stupido, molto stupido. Quando al catechismo ti fanno una domanda del genere la risposta è solo una: Dio.
Ridono tutti, catechista compresa. Abbasso lo sguardo come se avessi fatto qualcosa di male. Ma cosa poi?Continuo a pensarci. La catechista riprende a parlare. Non ho idea di cosa stia dicendo, non la sto ascoltando. Continuo a pensarci. Poi quella si volta verso di me e mi chiede: “qual è il significato della messa?”. Mi ha colto di sorpresa. Non so cosa rispondere. Lei non me ne lascia proprio il tempo. “Forse tu non sai nemmeno cosa sia la messa” mi dice. E calo la testa, di nuovo. Sì quello stupido ragazzino cala la testa, come se fosse colpevole. Ma di cosa? Avanti, tu lo sai. Stupido ragazzino. Parla. Alza la testa. E diglielo! Diglielo! La messa è il rito della chiesa cattolica, della chiesa ortodossa, delle comunità anglicane e luterane in cui si celebra l’eucarestia. Diglielo! È solo una stupida frase!
Non ce la fai. E te ne torni a casa con la testa ancora china, sconfitto. Entri in cucina. L’orologio segna le 19 in punto. 8 minuti avanti rispetto a quello sul comodino, 5 minuti avanti rispetto a quello appeso al muro, 3 minuti avanti rispetto a quello sulla scrivania.
Ti metti davanti allo specchio. Sei stanco, lo so.
Sorridi, e il mondo sorriderà con te. Piangi e piangerai da solo.
È stata la prima volta che ho sentito quella frase.
Sorridere mi ha sempre aiutato nei momenti più difficili, anche se i miei sorrisi erano solo finti. Mio padre lo sapeva. Lui era preoccupato per me. Diceva che me la prendevo troppo, che dovevo sorridere di più, guardare il lato positivo delle cose.
Ma adesso lo vedo il lato positivo. Adesso sorrido sempre, papà!
Peró non è che sia cambiato poi molto. Vivo solo in una prigione più grande.
Una volta mi hanno detto che in acqua un granello di sabbia e un sasso affondano allo stesso modo. Credo significhi che non importa quale il sia il peso di un’azione, ci saranno sempre delle conseguenze. Ma a me non frega niente. Non me ne frega niente delle conseguenze. Io sorrido. Ecco qual è l’importanza di sorridere. Sorrido anche se soffro. 8 minuti, 5 minuti, 3 minuti. Perché ho voluto prendere proprio l’orologio sul comodino come riferimento? Perché?
Sorridi e il mondo sorriderà con te. Piangi e piangerai da solo.
lunedì 26 settembre 2016
Apparenza
Le apparenze possono ingannare
e chiunque può sorprenderti...nel bene o nel male!
che frase banale sembra quasi una bugia
che frase irriverente che sarebbe la mia
guarda ovviamente cosa puoi fare
una frase ti farà cambiare?
ti renderà migliore la vita terrena?
esalterà in qualche modo la tua vitalità?
o sarà semplicemente un modo per dire
che voglio parlare anche io
e dire la mia realtà?
mercoledì 14 settembre 2016
Peace ep.12
Quando
riaprii gli occhi, il peso dei pensieri che mi schiacciava sulla
poltrona di pelle nera rendeva l'ambiente che mi circondava distorto,
come se non lo riconoscessi a prima vista, e mi fossi destato in un
luogo ignoto alla mia memoria. Lo sguardo annebbiato mi accompagnava
mentre cercavo di mettere a fuoco ogni singolo oggetto nella camera
in cui ero capitato: “Devo aver preso troppe di quelle maledette
pillole, lo sapevo, devo smettere, oggi smetto... sì, devo smettere”
pensai, mentre mi divincolavo con forza dalle braccia della mia
mamma, che mi stringeva in grembo donandomi il suo calore e la sua
protezione. Frastornato, mi alzai sforzandomi e, andando a sbattere
contro il tavolino al centro della stanza, realizzai finalmente di
trovarmi nella solita sporca stanza della solita casa della solita
via della solita lugubre città. Una sensazione di rabbia mista a
un'enorme senso di malinconia mi trascinò sempre più a fondo nelle
sabbie mobili che mi stavano inghiottendo, ormai, da tutta la vita.
Sentii un'altra pastiglia che scendeva nella mia gola, e un'altra, e
un'altra ancora, ed ecco che il vetro attraverso il quale guardavo
l'intera realtà andò in frantumi. Un'orribile immagine prese forma
nella mia mente. Lasciai cadere il pacco di pillole che stringevo
nella mano destra sul pavimento e mi precipitai verso il bagno: ed
eccola lì.
Il corpo di
mia sorella Maria che sguazzava in un'enorme pozza di sangue si
stagliava davanti ai miei occhi. Un imponente senso di debolezza si
appropriò del mio corpo e quasi caddi svenuto al fianco di quel
cadavere, la cui vista mi trasmetteva un sentimento di infinita
incoscienza, di colpevolezza, misto ad un immenso sconforto al quale
fu accompagnato il lento scendere di una lacrima sulla guancia
sinistra del mio volto.
Mi chinai
sulla figura distesa sul pavimento di marmo: gli occhi erano ancora
spalancati e la bocca leggermente aperta. Le carezzai la guancia
pallida, mentre le mie scarpe, immerse nel sangue, si macchiavano di
quel liquido rosso che aveva ormai inondato l'intero pavimento.
All'improvviso
un fragoroso rumore rimbombò nella mia testa: BUM BUM BUM... BUM BUM
BUM... qualcuno stava bussando alla porta. Mille pensieri mi
passarono per la mente in quei pochi secondi: “Chi è adesso? Chi
chi chi? E ora? Che faccio? Potrei far finta di non essere in
casa...” BUM BUM BUM... “Lasciatemi in pace!” avrei voluto
urlare “Che volete da me!”.
BUM BUM
BUM... mi slacciai le scarpe pregne di sangue e le posai in un angolo
della stanza, uscii, chiusi la porta a chiave che nascosi nella tasca
e corsi ad aprire:
«CHI É?»
gridai, quando ero ancora nel corridoio che portava alla camera di
ingresso
«Sono
Giovanni!» rispose una voce al di là della porta, che continuava a
tremare incessantemente a causa dei colpi che il visitatore assestava
sul legno ormai decrepito.
A quelle
parole trasalii. Mi ghiacciai in mezzo alla lunga stanza per qualche
secondo. Un brivido corse lungo la spina dorsale, e la vista si
annebbiò per qualche secondo:
«A.. a...
arr-ivo» balbettai, con il fiato in gola. In quel momento la mia
mente fu invasa da un pensiero che mi fece accasciare alla parete
ingiallita del corridoio. Le scatole di Cocenia! Non potevo lasciarle
dov'erano. Mi fiondai verso la cucina, raccolsi tutti i pacchi di
quelle pillole che mi stavano prosciugando, e li gettai nella
spazzatura. Mi recai ad aprire la porta, pregando che nessuna prova
della mia colpevolezza fosse sfuggita alla mia rapida analisi.
BUM BUM BUM
Levai il
chiavistello, mentre la porta continuava a vibrare incessante, e la
figura di Sergio si stagliò impetuosa di fronte alla mia:
«Michele!»
mi salutò Giovanni appena aprii la porta
«Cosa c'è?»
risposi freddamente
«Tutto
bene? Sei pallido!»
«Non sto
molto bene...»
«Ascoltami,
mi trovavo a passar di qua e ho deciso di fare un salto per
avvertirti che tua sorella è da un po' che non si fa sentire...
stanotte non è nemmeno tornata a casa. Ma non mi fai entrare?»
disse stizzito Giovanni, mentre mi tiravo indietro lasciandogli lo
spazio per entrare:
«Allora, tu
ne sai qualcosa?»
«Nulla»
«E non ti
preoccupi nemmeno un po'?»
«É mia
sorella, so com'è fatta. É grande ormai, sa cavarsela da sola»
“Lo sa!...
Non dirò nulla! Non mi estorcerà una parola di troppo...”.
Pensai, mentre guardavo i suoi occhi scuri, che mi divoravano al loro
interno e mi lasciavano cadere in una sorta di abisso composto da
tutte le mie più nascoste ossessioni e paure.
«Posso
offrirti un caffè?» mi rivolsi a Giovanni con un'aria insolitamente
generosa
«No, sto a
posto così... piuttosto, potrei usare un attimo il bagno?»
Seguì il
silenzio per qualche secondo.
«Ehm...
n-no» balbettai «alcune tubature si sono guastate proprio ieri ed è
chiuso fino a che non arriverà qualcuno a ripararlo» accennai,
gesticolando qua e là con le mani, preso dall'agitazione.
Giovanni
strizzò gli occhi. Il suo volto si imbronciò ed il suo tono di voce
cambiò improvvisamente:
«Un
bicchiere d'acqua me lo offri almeno?»
«Certo!»
Entrambi
camminammo lentamente verso la cucina. I passi risuonavano nel
corridoio, mentre una flebile voce proveniva dal televisore che era
ancora acceso dalla notte precedente. Arrivati in cucina, non si
poteva fare a meno di notare il disordine imperante nell'ambiente.
Una grande pila di pentole, piatti e posate si trovava nel lavabo,
pronta per essere lavata. Residui di cibo e briciole di chissà cosa
invadevano i mobili ed i fornelli:
«Scusa il
disastro, non ho quasi mai ospiti...» dissi, cercando di distrarre
Giovanni, che stava osservando minuziosamente ogni angolo della
stanza. Non rispose.
Aprii la
credenza, agguantai un bicchiere ed in fretta mi recai verso il
lavandino: “Presto, vai via! Vattene... fuori dai piedi!”.
«Perdonami,
ho finito l'acqua in bottiglia...» cercai di scusarmi, dopo aver
riempito il bicchiere.
«Non
preoccuparti» rispose Giovanni insolitamente tranquillo, ed in un
sol sorso trangugiò l'intero contenuto del bicchiere.
«Mentre
bevevo, mi era venuta in mente una cosa che dovevo dirti...» si
pronunciò all'improvviso Giovanni... tutto tacque per qualche
istante, fino a che non continuò, dopo aver sospirato profondamente:
«Peccato che me lo sia dimenticato, sarà la prossima volta. É ora
che vada.».
A quelle
parole mi sentii enormemente più leggero, quell'incubo stava
finalmente per finire. Dopo che Giovanni ebbe posato il bicchiere, lo
accompagnai velocemente alla porta d'ingresso, quasi spingendolo per
la troppa foga, aspetto al quale anch'egli fece caso ed infatti si
pronunciò in un piccola smorfia di fastidio, appena arrivati
sull'uscio.
«Ciao
Michele, scommetto che ci rivedremo presto...»
«Ciao!»
risposi, quasi sbattendo la porta, ma cercando di mantenere il più
possibile il controllo delle mie azioni.
Mi sedetti
sulla poltrona nera su cui ero solito passare le mie giornate, con la
TV davanti a me che emetteva suoni a cui nemmeno prestavo attenzione,
a causa delle ansie di cui mi facevo carico: “Lo sa! Lo sai
sicuramente!” pensai “Glielo si leggeva negli occhi... e poi,
perché avrebbe dovuto dire «scommetto che ci rivedremo presto»...
sa già tutto!”. Estrassi dalla tasca gli ultime pillole che mi
erano rimaste e le ingoiai in un sol colpo. Mi alzai di scatto,
dirigendomi verso la cucina per controllare che per terra non ci
fosse nulla che avrebbe potuto incastrarmi. Osservai con cura ogni
mattonella, ogni angolo buio, ogni mobile. Nulla.
Tranquillizzato
e stanco, tornai nel salone, passando per il corridoio ed eccolo lì.
I miei occhi si posarono su qualcosa che mi fece rabbrividire...: un
cerchio, due righe ed un numero erano disegnate, rosso sangue, sulla
parete del corridoio.
venerdì 5 agosto 2016
La storia dei due lupi
La storia dei due lupi: Una sera un vecchio Cherokee narrò
al suo nipotino la storia della battaglia che si perpetua
all'interno delle persone. Disse: “Figlio mio, la battaglia è tra i
due “lupi” che vivono all’interno di tutti noi. Uno è cattivo.
È rabbia, invidia, gelosia, dolore, rammarico, avidità,
arroganza, autocommiserazione, colpa, risentimento,
inferiorità, menzogna, falso orgoglio, superiorità e ego. L'altro
è buono. È gioia, pace, amore, speranza, serenità, umiltà,
gentilezza, benevolenza, empatia, generosità, verità,
compassione e fede.” Il nipotino restò a pensarci per un
minuto e poi chiese al nonno: “Quale lupo vince?” Il vecchio
Cherokee rispose semplicemente: “ Quello a cui si da
mangiare.”
al suo nipotino la storia della battaglia che si perpetua
all'interno delle persone. Disse: “Figlio mio, la battaglia è tra i
due “lupi” che vivono all’interno di tutti noi. Uno è cattivo.
È rabbia, invidia, gelosia, dolore, rammarico, avidità,
arroganza, autocommiserazione, colpa, risentimento,
inferiorità, menzogna, falso orgoglio, superiorità e ego. L'altro
è buono. È gioia, pace, amore, speranza, serenità, umiltà,
gentilezza, benevolenza, empatia, generosità, verità,
compassione e fede.” Il nipotino restò a pensarci per un
minuto e poi chiese al nonno: “Quale lupo vince?” Il vecchio
Cherokee rispose semplicemente: “ Quello a cui si da
mangiare.”
giovedì 4 agosto 2016
Peace ep. 11
Sergio è in collera con me.
Lo sento.
Ho sbagliato tutto.
Avevo un compito da svolgere e ho fallito.
Mi guarda.
Coi suoi occhi bicolori mi osserva.
E mi giudica.
"Quindi sono scappati"
"Si signore."
"L'intera squadra ha reagito come se si aspettasse che tu arrivassi ed è fuggita giusto?"
SI.
"E tu non hai idea di come sia potuto succedere, sbaglio?"
"Ho sottovalutato i miei avversari, sono saliti in macchina e prima che potessi prenderne una per inseguirli erano troppo lontani."
Mi osserva.
Mi giudica.
Perdente.
Sono un perdente.
Mi gira la testa.
"Va bene"
"Ora puoi andare, ti darò le disposizioni per il tuo prossimo incarico"
Posso andare, per adesso sono salvo.
Mi gira la testa.
Povero Ale.
Era terrorizato, e ne aveva motivo. Doveva uccidere un civile, un giochetto da ragazzi per un essere con le sue capacità.
Sta prendendo troppe pillole, non è stabile.
Eppure il piano è andato esattamente come avevo previsto.
Dovevo saggiare le difese della squadra, e sono fragili, molto più di quanto loro stessi vogliano far credere.
Quel Giovanni è stato fortunato, ma non ha idea delle persone con cui si è messo ad indagare, povero piccolo stupido umano.
Sergio prese una bottiglia di Vodka che Ale aveva lasciato sul tavolo.
Ora spetta a loro la prossima mossa, capire come agire, come trovare l'assassino.
Stupidi.
Non lo troveranno mai, quando le persone cercano qualcosa di anormale, di indefinito, folle, tralasciano i particolari più ovvi.
Un'espressione del viso, un modo di guardare, ogni persona nasconde un mostro dentro.
Alcuni un simbolo, un potere, invisibile per loro, ma quando si paleserà davanti ai loro occhi, sarà troppo tardi.
Se solo sapessero come stanno realmente le cose.
"Le parole sono la forza, il simbolo è la mia croce" disse.
"Alla salute".
"Che giornata stressante, chi lo dice che Torino sia una città fredda? Oggi si moriva dal caldo, e poi il traffico.
Torino sta diventando insostenibile!"
Ramon Salazar, impiegato di trentacinque anni, stava tornando a casa in una serata stranamente calda, nonostante lavorasse in un modesto ufficio come segretario, prese il suo ascensore privato che lo portò in un attico.
Le splendide vetrate dell'attico illuminavano di fioca luce rossastra i mobili dando l'impressione ti trovarsi su di un altro pianeta.
Lo sento.
Ho sbagliato tutto.
Avevo un compito da svolgere e ho fallito.
Mi guarda.
Coi suoi occhi bicolori mi osserva.
E mi giudica.
"Quindi sono scappati"
"Si signore."
"L'intera squadra ha reagito come se si aspettasse che tu arrivassi ed è fuggita giusto?"
SI.
"E tu non hai idea di come sia potuto succedere, sbaglio?"
"Ho sottovalutato i miei avversari, sono saliti in macchina e prima che potessi prenderne una per inseguirli erano troppo lontani."
Mi osserva.
Mi giudica.
Perdente.
Sono un perdente.
Mi gira la testa.
"Va bene"
"Ora puoi andare, ti darò le disposizioni per il tuo prossimo incarico"
Posso andare, per adesso sono salvo.
Mi gira la testa.
Povero Ale.
Era terrorizato, e ne aveva motivo. Doveva uccidere un civile, un giochetto da ragazzi per un essere con le sue capacità.
Sta prendendo troppe pillole, non è stabile.
Eppure il piano è andato esattamente come avevo previsto.
Dovevo saggiare le difese della squadra, e sono fragili, molto più di quanto loro stessi vogliano far credere.
Quel Giovanni è stato fortunato, ma non ha idea delle persone con cui si è messo ad indagare, povero piccolo stupido umano.
Sergio prese una bottiglia di Vodka che Ale aveva lasciato sul tavolo.
Ora spetta a loro la prossima mossa, capire come agire, come trovare l'assassino.
Stupidi.
Non lo troveranno mai, quando le persone cercano qualcosa di anormale, di indefinito, folle, tralasciano i particolari più ovvi.
Un'espressione del viso, un modo di guardare, ogni persona nasconde un mostro dentro.
Alcuni un simbolo, un potere, invisibile per loro, ma quando si paleserà davanti ai loro occhi, sarà troppo tardi.
Se solo sapessero come stanno realmente le cose.
"Le parole sono la forza, il simbolo è la mia croce" disse.
"Alla salute".
"Che giornata stressante, chi lo dice che Torino sia una città fredda? Oggi si moriva dal caldo, e poi il traffico.
Torino sta diventando insostenibile!"
Ramon Salazar, impiegato di trentacinque anni, stava tornando a casa in una serata stranamente calda, nonostante lavorasse in un modesto ufficio come segretario, prese il suo ascensore privato che lo portò in un attico.
Le splendide vetrate dell'attico illuminavano di fioca luce rossastra i mobili dando l'impressione ti trovarsi su di un altro pianeta.
Una doccia era quello che ci voleva per togliersi di dosso quella giornata insignificante.
Il bagno era come ogni cosa in quell'appartamento, esagerato, rubinetti d'oro e la vasca in marmo giganteggiavano dando al tutto un'aspetto ridicolmente esagerato.
Ma quando apri' l'acqua della vasca, raggelò.
Sangue.
Un liquido scuro, denso, usciva a fiotti dal rubinetto.
"Ma che cazzo!"
Ramon si girò e vide che anche gli altri rubinetti si erano aperti volontariamente facendo uscire quella poltiglia vermiglia.
"No-non è possibile"
"Lo è eccome Ramon"
Una voce
Una voce nella mia testa.
Ramon scappò in salotto e lo vide.
Una figura scura, che guardava fuori dalla finestra.
" Ti sei sistemato proprio bene Mr. Salazar, non male questo posto con lo stipendio che ti ritrovi,ci arrivi a fine mese?"
"Perchè sei qui?"
"Perchè sono qui...lo sai"
" Non ti abbiamo fatto nulla, Sergio..la colpa è di Sergio!"
" La colpa, la colpa va divisa con tutti, e Sergio avrà la sua parte in tutto questo quando finirà"
Ramon provò a saltargli addosso, ma la sua figura svani' come se non fosse mai esistita.
Poi fu tutto nero.
venerdì 1 aprile 2016
Peace ep. 10

Il solito caffè
annacquato attendeva di essere bevuto sul piccolo piatto ancora
sporco dal giorno prima. Vera ci rovesciò dentro più zucchero di
quel che era solita versare, quel giorno era insolitamente inquieta.
Mentre si portava la tazza alla bocca, notò che la mano tremava,
tanto da far cadere alcune gocce di caffè sulla t-shirt e sulle
scarpe:
«Noo...» bisbigliò,
mentre afferrava prontamente un fazzoletto cercando di rimediare al
danno.
-Cominciamo bene la
giornata- pensò.
Diede un'occhiata
all'orologio, rapidamente si infilò il cappotto, chiavi e via per la
strada che l'avrebbe portata al quartier generale dove
quotidianamente si riuniva la squadra per discutere su quello che era
riuscita a scoprire sui vari omicidi che dilagavano in città.
La pioggia cadeva
incessante sul marciapiede, i nuvoloni scuri oscuravano completamente
il fioco sole di febbraio.
Il killer poteva essere
dietro l'angolo, mentre Vera accelerava il passo il pensiero che da
un momento all'altro sarebbe potuta passare da detective a vittima
del suo stesso caso imperava nella sua testa.
Accelerò, accelerò
ancora, stava per svoltare, ancora un altro passo e:
«Aaah!» gridò
«Stia più attenta!»
disse in tono seccato un uomo contro il quale Vera aveva urtato per
la troppa fretta, mentre si sistemava la giacca nera. Vera non prestò
molta attenzione alle parole dell'uomo, voltò il capo e proseguì
lungo la propria strada.
«Allora si può sapere
cosa volete?» sbraitò Alek sbattendo un pugno sul tavolo dietro il
quale si stendevano silenziosi Carlo, Giovanni ed il maresciallo
Fumagalli, con le mani dietro la schiena e gli occhi che fissavano
quelli di Alek senza battere ciglio.
In un angolo della
stanza, all'ombra dell'unica e debole luce di un neon bianco che
pendeva dal soffitto, si trovava Michele Ramino, seduto su una sedia
di legno, con le braccia conserte e lo sguardo perso nel vuoto.
Giovanni alzò gli occhi
verso l'orologio a muro che segnava le 9:30 di mattina:
«Vera non sembra
arrivare, sarà meglio cominciare... siediti Alek, facciamo due
chiacchiere.»
Alek avvicinò a sé una
sedia con un piede, e con aria scocciata si sedette davanti il
tavolo:
«Sigaretta?» domandò
il maresciallo Fumagalli mentre con due dita reggeva una cicca:
«Sì» si limitò a
pronunciare Alek, prendendo la sigaretta e portandosela alla bocca:
«Allora Alek dimmi un
po'...» riprese Giovanni mentre Fumagalli con un accendino accendeva
la cicca che gli aveva offerto: «Date le ultime circostanze, gli
ultimi eventi che si sono venuti a verificare, sono costretto a porti
qualche domanda: fai abitualmente uso di Cocenia?»
«COSA? Cosa andate
blaterando... e anche se fosse? Come potrebbe mai
interessarvi?»
«Rispondi alla domanda»
«Rispondi alla domanda»
«Sì, allora? Qual è il
problema?»
«Vedi Alek, in uno dei
vari omicidi, tempo fa, sono state trovate scatole di Cocenia
completamente vuote, siamo abbastanza certi che nella nostra squadra
ci sia una talpa, sai no? Quelle che vivono sottoterra e non vedono
mai la luce del sole...»
«E quella cosa sarei io?
Siete pazzi...»
«Fa' silenzio!» gridò
Giovanni «TU! Vieni qui!». Indicò Michele con un cenno del capo.
Come svegliatosi da un coma, Michele alzò gli occhi e, trascinando
la sedia su cui era seduto al fianco di Alek, pronunciò due
semplici lettere:
«No»
«No cosa?» disse
Giovanni stranito
«Non faccio uso di
Cocenia»
Gli occhi vuoti di
Michele guardavano le pupille di Giovanni con un'aria di sfida,
mentre la figura di Carlo, che si stendeva imperiosa dietro il
tavolo, non faceva trapelare nessuna emozione. Il suo volto era
immobile, si limitava ad osservare, come se stesse assistendo ad uno
spettacolo di teatro.
«Volete solo buttarci
fuori da questo caso, volete tutto il merito! Sì, già immagino il
futuro, le prime pagine dei giornali con titoli del calibro di “Due
detective tra gli eroi del nostro tempo”. Ma non avete capito che
non ne avete le capacità? E neanche io le ho, nessuno probabilmente
le ha. Abbiamo istituito questa squadra con il solo e unico scopo di
porre fine a questa psicosi, a questo virus che vaga per l'aria
dell'intera città.»
Il discorso di Alek non
faceva una piega, e Giovanni e Fumagalli lo sapevano meglio di
chiunque altro.
“Bum bum bum”
Qualcuno bussava alla
porta, che si aprì facendo entrare un filo di luce che scomparve
immediatamente.
La luce del neon
illuminava la figura di Vera, fradicia a causa della pioggia:
«Scusate il... cosa sta
succedendo qui?»
«Vieni Vera, siediti qui
con noi...» le propose Fumagalli, mentre cercava una sedia dove
poterla far accomodare.
Approfittando della
confusione dei presenti, Michele si palpò le tasche e, notando che
portava con sè un pacco di Cocenia dal quale non riusciva mai a
separarsi, lo gettò sotto il tavolo, con immenso dispiacere dato
solo dal fatto di essersi distaccato dalla sua ragione di vita.
«Cosa c'è?» domandò
Vera
«Vieni qui ho detto!»
disse Giovanni alzando il tono di voce che sembrava intepretare il
ruolo di poliziotto cattivo
«Ti conviene ubbidire»
ribadì Fumagalli, quello “buono”
Vera ubbidì, recandosi
innanzi al tavolo:
«C'è qualcosa che non
va?»
«Perché questo
ritardo?» controbatté Giovanni
«Pioggia»
«...»
«Non vorrete mica
riprendermi per un ritardo?»
«Non è questo il
problema»
«E qual è allora?»
«Fai uso di Cocenia?»
«CoCHE?»
«Non fare la finta
tonta»
«No e non ho idea di che
cosa si tratti»
«Io me ne vado... che
cosa ridicola»
Alek si incamminò verso
la porta, allungò la mano sulla maniglia:
«Tu non vai da nessuna
parte!»
Alek si sentì tirare la
spalla, si voltò e cadde al suolo dopo un gancio di Giovanni dritto
nello stomaco. La vista si appannò, il suo sguardo rivolto contro il
tavolo, con le mani sul pavimento mentre cercava di rialzarsi:
«CHE CAZZO FAI?» gridò
Vera
Alek si alzò di scatto,
si recò verso il tavolo, lo spostò violentemente e lo sguardo di
ognuno dei presenti si illuminò:
«Cos'è quello?»
«É...»
«...Una scatola di
Cocenia...»
«Ma si può sapere cos'è
sta roba?»
L'intera squadra
circondava quell'unica scatola, un'infima e apparentemente inutile
scatola che come una calamita sembrava attirare ogni uomo:
«Lo sapevo... lo
sapevo... lo sapevo!» disse Alek «É vostra!» non sapeva bene a
chi si stava rivolgendo.
Alek con gli occhi che
gli uscivano fuori dalle orbite fissava la scatola, Giovanni e
Fumagalli cominciavano a dubitare gli uni degli altri, Vera con aria
stranita incrociava gli sguardi di ogni (oramai) ex-compagno e
Michele, seduto, sulla sedia di legno che scricchiolava sotto il suo
peso, accennava un misero sorriso sul volto:
«Mh...»
La vista della confezione
di pillole colpì persino Carlo, sul cui volto era apparsa
un'espressione mista a stupore e preoccupazione.
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